Il dibattito sull’area urbana? Solo un fantoccio!

Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso“.
A Cosenza si è riaperto il dibattito sul Comune unico dell’area urbana. C’è il rischio che si riveli una discussione pilotata per incoronare un nuovo Principe di cui i Cosentini in realtà non hanno alcun bisogno. D’altronde è una riflessione improrogabile che investe la natura stessa della nostra identità.
Lo studioso ed architetto Emilio Tarditi fa notare che basta osservare un dettaglio, cioè l’andatura vanagloriosa e impacciata delle signore che passeggiano sull’isola pedonale di corso Mazzini, per rendersi conto che Cosenza, nel secondo ‘900, è stata investita da un urbanesimo, ma non può vantare un’urbanità. Identità e memoria sembrano assenti, barcollanti e precarie come la camminata delle pseudomatrone cosentine.
In un recente suo articolo relativo al dibattito sull’area urbana, il docente universitario Battista Sangineto perviene più o meno alle stesse conclusioni, e nel contempo critica il modello culturale manciniano che avrebbe lasciato poche tracce nella coscienza collettiva di quelli che abitano in questa conca.
La Cosenza di oggi è il frutto dell’accostamento paratattico e casuale di quartieri abitati da famiglie che per ragioni di necessità nel secondo dopoguerra si sono insediate qui, migrando dai 155 centri della provincia. Sono persone che conservano memoria e tradizioni dei rispettivi originari centri periferici di provenienza. Ma della cosentinità pura – ammesso che esista – conoscono poco e niente. Sarebbe quindi rarissimo trovare il Cosentino verace. È un’analisi discutibile, un po’ ingenerosa, ma interessante.
Guardando al futuro, giustamente Sangineto fa notare poi che se nell’area urbana sorgerà un comune unificato, è scontato che dovrà chiamarsi Cosenza. Tra i centri coinvolti, è l’unico a poter vantare 2300 anni di storia. È infatti una città mai infeudata, omaggiata da imperatori come Federico II e Carlo V, culla del filosofo Telesio, teatro di importanti rivolte antispagnole nei secoli XVI e XVII, rispettata dai francesi di passaggio all’inizio dell’800, precorritrice dei moti risorgimentali, epicentro di importanti movimenti sociali, politici e culturali nel ‘900.
Diverso è il caso di comuni come Rende, Montalto e Castrolibero: borghi rurali con tanto di feudalità imposta e riconosciuta. Non è questione di campanile. È la storia.
Il problema, comunque, non è il nome da dare alla nuova entità urbana.
È indiscutibile che si chiamerebbe Cosenza. Il vero fulcro della discussione è rappresentato dalla forma di governo da attribuirle. Su questo punto, si conferma la debolezza di pensiero che caratterizza quasi tutti i nostri intellettuali, persino i più raffinati, quando devono elaborare scenari di progettualità politica cittadina.
Gira e rigira, tutti rimangono subordinati al mito di un capo supremo, un supersindaco, un feudatario che rimetta ordine nel caos e ci illumini con il suo decisionismo. Ma così il medioevo esce dalla porta della critica e rientra dalle crepe della rassegnazione! È il vecchio vizietto premoderno di aspettarsi che qualcosa cambi dall’alto, magari grazie all’intervento di un clan regnante.
Il professor Sangineto, come tanti altri, oggi vede nella famiglia Principe un modello assoluto. Eppure moltissimi Rendesi potrebbero testimoniare quanto squallore si annidi in questo modello, fatto di arroganza, utilitarismo, subordinazione.
Qual è il prezzo che Rende ha dovuto pagare ai Principe? E siamo sicuri che sia così alta la qualità della vita in quel non-luogo dove i ponti crollano e le imprese edili costruiscono senza versare gli oneri di urbanizzazione? È chiaro pure che oggi il confronto con Cosenza non regge. Qui non funziona più nulla. Città dei Ragazzi chiusa, viale Parco tagliato in due, manca l’acqua in centro, di raccolta differenziata non si parla più, le strade sono impercorribili, il centro storico è morto, centinaia di famiglie in emergenza abitativa, nessun intervento in situazioni critiche come quella dei rom.
Forse, però, la colpa è anche un po’ nostra. Di quanti cioè, all’interno della cooperazione sociale e dei circuiti delle arti creative, negli ultimi anni ci siamo illusi di poter portare qualcosina a casa, in cambio del silenzio.
Il piano strategico si è rivelato una pantomima; l’amministrazione comunale ha orchestrato una partecipazione pilotata per legittimare le proprie scelte e giustificare lo sperpero di denaro pubblico. La presunzione di ricomporre i conflitti attraverso compromessi più o meno evidenti, si scontra ora con la dura realtà del recente annuncio dell’amministrazione comunale (Pd) che intende azzerare l’esperienza dell’area dei capannoni liberati tra viale Mancini e via Popilia.
Incurante della ricchezza sociale prodotta dalle associazioni negli ultimi anni, Palazzo dei Bruzi impone su quei terreni, a partire dal dicembre 2010, l’apertura del cantiere infinito di un avulso auditorium. È la conferma della profonda distanza del potere politico locale da un certo associazionismo. Non c’è da meravigliarsi.
Al di là degli uomini che si succedono ai vertici dell’amministrazione, quella attuale è la medesima forma di malgoverno che negli ultimi due decenni – come spiega uno studio dell’università di Reggio Calabria – ha fatto di Cosenza il centro urbano più cementificato d’Italia, con grande sollievo per le lobby affaristico-mafiose.
Tutto il resto, dunque, sono solo canzonette. Il dibattito sull’area urbana è soltanto un fantoccio agitato da chi sa già dove deve arrivare. L’unica arma per buttare giù il fantoccio è nella prassi di una reale e partecipe cittadinanza.
Che quando non viene dal basso, e non è disinteressata, si chiama in un altro modo: sudditanza!
PS
In questi casi, quando cioè si cerca di proporre un’analisi, poi i soliti giannizzeri dell’efficientismo politicista, ti chiedono di avanzare una proposta, altrimenti ti accusano di essere poco concreto.
Sarebbe esecrabile ipotizzare scenari assoluti da saldare alla realtà. Comunque, per andare incontro alle esigenze degli osservatori più ansiosi e soddisfare le loro pruderie, ecco in sintesi una proposta schematica:
– assemblee propedeutiche e consultazioni sull’ipotesi di comune unico dell’area urbana
– cariche pubbliche gratuite (niente soldi a consiglieri e assessori. Solo rimborsi minimi)
– sindaco unico (Cosenza, Rende, Castrolibero, forse Montalto), ma con poteri ridotti
– municipalità (ex circoscrizioni) con poteri di governo reale dei quartieri
Claudio Dionesalvi
ciroma.org    terramara.it  10 maggio 2010
(nella foto in alto, 2004: occupazione simbolica dei capannoni delle ex Ferrovie della Calabria, tra Viale Mancini e Via Popilia)

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