Unical, tagliato il corso sugli studi di genere

I dreadlocks di Laura sono più elettrici del solito, stamattina. Ha appena ricevuto una di quelle notizie che ti scompigliano l’anima. Figuriamoci la capigliatura! I tagli alle Università cancellano anche il suo corso sugli Studi di genere, in cui lei insegna a ragionare più di biodiversità del genere umano che di maschile e femminile; di diritti e democrazia paritaria più che uguaglianza.
Laura Corradi trent’anni fa faceva l’operaia in una fabbrica in Lombardia. È stata studentessa lavoratrice e si è diplomata all’età di 23 anni. A Scienze Politiche a Padova ha avuto il presalario, si è laureata con 110 e lode discutendo una tesi sulla fabbrica in cui aveva lavorato, poi pubblicata e divenuta un libro di successo che racconta storie di donne operaie costrette a lavorare di notte. Questo libro la porterà prima al Maurizio Costanzo Show e poi in America, invitata dall’Università di California che le ha offerto una borsa di studio. Lì ha insegnato e svolto ricerche per sette anni. Da oltre due decenni lavora nelle università di mezzo mondo. E ha scelto di stare in Calabria dove ora insegna nel locale ateneo, è ricercatrice e docente di Studi di genere e Sociologia della salute e dell’ambiente.
Perché ha scelto la Calabria?
È la California del Mediterraneo e da qui, come diceva la poetessa nera bell hooks, “dal margine si possono vedere delle cose che il centro non immagina neanche”.
Le hanno appena comunicato che dovrà fare a meno di una quota consistente del suo lavoro: più di 60 ore di lezione nell’ambito dell’insegnamento di Studi di genere sono state cancellate dall’offerta formativa.
Professoressa Corradi, cosa ha provato quando nel consiglio dei docenti del suo dipartimento le hanno comunicato che gli “studi di genere” sono stati “tagliati”?
Ci sono rimasta malissimo. Ho insegnato i miei corsi in forma gratuita come pure hanno fatto i miei colleghi. Con grande generosità ci siamo caricati di un’offerta formativa eccellente nella facoltà di Scienze Politiche e adesso tutto quell’investimento è andato in fumo.
Da quanti anni era attivo questo corso?
Dal 2002 insegno Studi di genere. Prima avevo tenuto corsi sulla salute e seminari sui vari temi legati al genere: le donne nei classici della sociologia, le comandanti nella rivoluzione zapatista, il genere nella sociologia del tempo.
A occhio e croce, quante studentesse lo frequentavano?
Dunque, facciamo i conti: nello scorso decennio ho avuto circa un centinaio di studentesse ogni anno qui ad Arcavacata. E altrettante a Crotone. Negli ultimi due anni, il mio corso è stato sottoposto a una dieta dimagrante. Messo in opzione con un altro corso, negli orari in cui le studentesse avevano altri requisiti obbligatori, come Inglese o le riunioni di tirocinio, così l’anno scorso ne ho avute 50 e quest’anno solo 15.
Ma perché hanno soppresso il corso? Quali sono le motivazioni formali e quali sostanziali?
C’è un decreto ministeriale che chiede di sfoltire. Ma a questo punto la scelta delle priorità dovrebbe essere fatta collettivamente sentendo il parere di tutti e tutte.
A cosa servono gli studi di genere?
Gli studi di genere sono una materia interdisciplinare in cui si studiano le differenze per imparare a rispettarle. I vecchi modelli di mascolinità e femminilità sono ormai superati.
Sono diventati come delle gabbie che opprimono le donne e non rendono felici gli uomini. Le differenze di genere, invece di diventare disuguaglianze, possono essere viste come un valore e intersecarsi con altre differenze di età, colore della pelle, cultura e orientamento sessuale. Gli esseri umani hanno una grande “biodiversità” e credo che la conoscenza di ciò che è diverso, soprattutto in tempi di globalizzazione, ci aiuti a comunicare meglio con l’Altro/a, senza avere paura o sviluppare fobie.
Servono “solo” a questo?
Gli studi di genere servono anche a potenziare il genere socialmente più debole, ovvero le donne, le ragazze e le bambine. E sono utili per far riflettere entrambi i generi su come interiorizziamo stereotipi vecchi e consunti, per cui l’uomo non può piangere e mostrare il suo lato tenero. Deve essere sempre forte e potente, mentre la donna deve essere remissiva, scioccherella e passiva. Il potere su qualcuno crea dei disequilibri sociali, nell’amore e nella famiglia. Tali disequilibri spesso sono alla base di violenze.
Di che tipo?
Violenze domestiche, sessuali, fisiche, economiche, psicologiche. Le bambine divengono sempre più spesso target di molestie anche gravi. Questo è anche legato a dei processi di erotizzazione del corpo prepuberale ed adolescenziale nella moda, nelle pubblicità e nel mondo dell’intrattenimento. La bambina incarna quanto di più vulnerabile c’è nella femminilità. Se la nostra cultura accetta l’idea che la loro è un’innocenza da corrompere con linee di costumini da bagno col push up dagli otto ai 12 anni – e contestualmente non si lavora sulle identità maschili in crisi – poi non possiamo lamentarci di queste impennate dei casi di pedofilia.
Quindi, in classe decodifichiamo i messaggi di genere che la cultura ci offre. Anzi, direi, ci impone attraverso la televisione, le pubblicità, il cinema. E cerchiamo di lavorare sulla prevenzione. Ultimato il mio corso di laurea, le ragazze andranno a fare le assistenti sociali e quindi per loro è importante sapere come ci si comporta di fronte a problemi di questo tipo che talvolta si manifestano anche nelle famiglie. Un altro campo d’intervento è la prostituzione, sia quella schiavile, della tratta, che quella “scelta”, il cui aumento è legato alla crisi economica, ma anche al fatto – come dicono gli attivisti di “Maschile Plurale” – che nel sesso a pagamento l’uomo può ancora sentire di avere quel vecchio potere che oggi le donne gli contestano nei luoghi pubblici, nella scuola, sul posto di lavoro, ovunque. Oggi nessuna ragazza accetterebbe di farsi pizzicare il culo mentre sta in fila alla posta. Il femminismo dunque ha cambiato molte cose.
Cosa resta da cambiare?
La mentalità, per cui un uomo vale più di una donna. Vanno combattuti i pregiudizi sulla minore intelligenza, minore affidabilità o iperemotività delle donne. La questione della libertà: mentre oggi ai ragazzi è consentito sperimentare la loro sessualità, per le ragazze non è così. Resta anche aperto tutto il discorso su omosessualità, lesbismo, bisessualità, transessualità. Temi di cui parliamo nelle nostre lezioni, visto che le assistenti sociali avranno utenze di tutti i tipi. Mi dicono le studentesse che solo nelle mie classi si discute di sessualità.
La società multietnica apre un ventaglio di questioni più complesse sulle quali il femminismo si interroga…
Certo, sono d’accordo, nel corso discutiamo del femminismo islamico, così come dell’ecofemminismo indiano. Il patriarcato c’è dappertutto, anche se ha forme diverse. C’è il patriarcato che t’impone di velarti e quello che t’impone di svelarti…
In Italia siamo davvero più avanti di altri? A me sembra che i cosiddetti paesi in via di sviluppo alla fine concedano alle donne più diritti sostanziali di quanto avvenga qui.
Non penso che l’Italia sia genericamente più avanti. Il lavoro domestico ricade quasi interamente ancora sulle donne. C’è una differenza salariale vergognosa – a parità di mansioni – tra uomo e donna. Si registra un livello di violenza domestica sul quale anche il consiglio d’Europa è intervenuto. Non siamo più avanti del Kerala, dove le donne hanno una rappresentanza del 50 per cento in tutte le istituzioni statali e gli organismi governativi dal livello più alto a quello più basso. Non solo nelle candidature, ma nei posti effettivi, la metà della rappresentanza deve essere data alle donne. Si chiama democrazia paritaria. Noi siamo davvero lontani da questo.
E il fatto che chiudano un corso di studi di genere che lavora sul potenziamento delle ragazze, e di decostruzione delle diseguaglianze, mi fa pensare che la mia università, non solo non apprezza il mio lavoro, ma si sta ponendo più dalla parte del problema che della soluzione.
Claudio Dionesalvi
www.manifestiamo.eu   aprile 2013

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