A Matteo Dean

È da te che ho imparato a chiamare “fratelli” i compagni, e “sorelle” le compagne. Forse per quel tuo modo di dirlo, fratello. Per me rappresentavi Trieste e molto più. Biondo, sorridente, poroso. Indignazione e amore, avevi in cuore l’energia del vento. Ragionavamo insieme d’utopia. Neanche il tempo di girarmi a guardarti, tu eri già al di là dell’orizzonte. Limpido, tenero, tenace, austero amico mio. Mai disperdevi parole nel vuoto. Quando scendevi in Calabria, ponevi infinite domande. Abituato a vibrare dell’umanità intorno a te, diventavi terrone come noialtri, tanto era caldo il ritmo del tuo pulsare. Un giorno mi portasti sul Carso. Non fu facile arrivare lassù. Osservammo la vallata dall’alto. Non temevi nulla. Io, fifone: “Matte’, e mò come scendiamo?”. L’accento balcanico impastato a un tono caldo, rispondesti divertito: “Semplice. Ci basterà scivolare, lasciarci andare, cavalcare la ghiaia”. Eravamo bambini a cavallo di uno scivolo bianco e maestoso. Fu quella la discesa più magica dei giorni miei. Rotolammo alle pendici, tu, io, Alfredo, Paoletto e Gabriel. Sembrava di sciare su morbida roccia. Finimmo col sedere a terra, ridendo a scoppiavene. T’osservai attento. Con lo sguardo eri già altrove. Ci sono esistenze luminose che abbagliano e si spengono in un istante. Ci sono luci che esistono in eterno e camminano anche quando si spegne ogni energia. Continuerò a camminar con te a fianco e il tuo vento dolce e impetuoso nel cuore, Matteo, fratello mio.
Claudio Dionesalvi
globalproject.info   giugno 2011

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