beach terminal – seconda giornata: da Amantea a Longobardi

Beach Terminal seconda giornata – Da Amantea a Longobardi
Al passaggio dalla stupenda Amantea, mi sento un po’ a casa, abitata com’è da amici cari. Amantea è la culla del più numeroso, assiduo e creativo nucleo di ultrà cosentini extracittadini. Si scorgono da lontano i resti dell’antico castello. Scabrosi, turbolenti, sanguinosi eventi vi si svolsero nei secoli passati. I Bizantini lo edificarono a difesa dai Longobardi. I Saraceni lo conquistarono, vi rimasero per più di duecento anni, lasciarono tracce negli sguardi tenebrosi, accattivanti e cespugliosi di molti dei suoi odierni abitanti. Nel 1288 vi accadde qualcosa di brutale o perlomeno di ambiguo. L’antico maniero fu preso dagli Aragonesi. Narra il cronista dell’epoca, Bartolomeo da Nicastro, che al termine dei combattimenti si udì un sovrumano urlo femminile. A gridare fu la figlia del castellano, Morana Sclavella, divenuta bottino di guerra. Pare che a stuprarla fosse stato un capitano aragonese. Gli Amanteani non la presero bene, aleggiò la minaccia di vendicativi tumulti. Dovette intervenire il Re Giacomo in persona, che promise pene severe per il colpevole. Ma quando giunse il momento del pubblico confronto, Morana dichiarò d’essere stata consenziente nell’amplesso. Nozze riparatorie consacrarono la pacificazione.
Altrettanto inquietanti i fatti avvenuti nel medesimo castello pochi decenni dopo, durante la parentesi angioina. La regina Giovanna d’Angiò, molto popolare in virtù dei suoi appetiti sessuali eccessivi, culminanti nel vizietto di far uccidere i propri amanti al termine di selvaggi rapporti amorosi, sarebbe rimasta addirittura sfondata dal membro di un cavallo nell’atto di possederla.
Oggi Amantea non è più patria di vizi e perversioni. Al contrario, appare come il più vivibile dei centri urbani costieri. Insieme a Paola, è l’unica vera città sul Tirreno cosentino. Entrambe vantano un glorioso passato marinaresco. Rifornivano di pesce il circondario, e non solo. A Lago, 700metri più in alto sul livello del mare, in direzione del valico di Potame, gli anziani ricordano ancora la figura di Vicìanzu u’ marinùatu di Amantea, che introdotto ogni volta in paese dall’addetto al bando, Nicola da’ casciotta, portava il suo carico di aringhe e alici da barattare con fagioli e patate. Ormai Amantea si è lasciata alle spalle gli stili di vita arcaici ed è la più modernista. Vanta una vita culturale invidiabile. Dal 7 all’11 agosto ospita Laguarimba, prestigioso International film festival. E forse pensa alla qualità della sua situazione balneare il presidente della Provincia, Mario Occhiuto, quando sostiene che rispetto agli anni precedenti, le acque del Tirreno quest’anno sono meno sporche.

Sarà. Non tutti però sono d’accordo con Occhiuto. Di certo siamo ben distanti dagli incubi di qualche anno fa, quando Amantea e Cetraro richiamarono i mass media di mezzo mondo per la faccenda delle navi dei veleni.
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Nel corso del tempo, si è sviluppata un’ampia letteratura sul tema. Tra i documentari più efficaci, quello del videomaker autoctono Claudio Metallo

Un ottimo libro dal titolo “Le navi dei veleni”, scritto da due giornalisti coi piedi per terra, Massimo Clausi e Roberto Grandinetti, ricostruisce i termini dell’intera vicenda. Un altro cronista autorevole, Arcangelo Badolati, ha più volte elencato i collaboratori di giustizia che nel corso degli anni si sono lasciati andare a dichiarazioni rivelatorie. Di certo, nessuna nave carica di scorie radioattive è stata mai recuperata, nonostante in molti si dicono certi che sul relitto della Cunsky, nel mare davanti Cetraro, i Servizi e il governo hanno imposto il segreto di Stato depistando l’attenzione generale su un altro relitto sommerso, quello del “Catania”. Pare che troppo dispendioso e impraticabile sarebbe stato recuperare i bidoni contenenti sostanze contaminate. Va sottolineato comunque che i tracciati satellitari confermano l’avvenuta demolizione della nave Cunsky in un porto indiano.
Ad Amantea un agguerrito e coraggioso comitato, il “Natale De Grazia”, non ha mai smesso di indagare. Intanto a Cosenza si sta celebrando in corte d’Assise il processo per la morte di una persona ammalatasi di cancro perché si recava a pescare nella vicina valle del fiume Oliva, dove sarebbero state smaltite sostanze radioattive, oltre le centinaia di migliaia di rifiuti industriali già individuati in zona dalla procura di Paola.
L’avvocato Rodolfo Ambrosio è parte civile nel processo, per conto di Legambiente:

È Arturo Suriano, compagno di viaggio nell’ultimo tratto della prima giornata, a farmi da Caronte, traghettandomi da un capo all’altro della spiaggia. Non c’è l’inferno, però, dalla parte opposta del guado sabbioso. Al contrario, sarà forse il tintinnar di manette degli ultimi giorni o la recente manifestazione dei bagnanti indignati a Paola, il mare è trasparente. Roba da fare invidia alle più attrattive tra le piccole isole della Sicilia.
“Amantea è molto attenta al suo depuratore – spiega Arturo – insieme ad altri Comuni, ha canalizzato a sud, nella zona di Nocera Terinese, il bocchettone delle acque reflue, controllatissime. Basta dare un’occhiata alla foce del Catocastro, una fiumara che un tempo si gonfiava, per toccare con mano quanto l’acqua sia pulitissima”.
Roberto lavora qui, in un lido frequentatissimo: “Quando il mare è maretto, si agita e raccoglie ciò che noi stessi lasciamo. Ma non è inquinato. L’inquinamento è un’altra cosa”.
Aldo Pulice, studente di Ingegneria elettrica a Pisa, ragazzo dall’occhietto geniale, amanteano, in quattro parole racchiude i nostri mali culturali: “Indifferenza, rassegnazione, delega, divisioni tra quelli che potrebbero costruire qualcosa di positivo”.
Eppure Amantea non è per niente paludosa. La nazionale di beach volley è stata qui a fine luglio. Quattromila persone l’hanno accolta con entusiasmo. Incontro Rocco Pugliano, allenatore, che sottolinea il valore sociale dello sport.
“Dovremmo smettere una volta per tutte di gettarci la croce addosso”. Suonano la carica Vincenzo e Rosa del gruppo “sei di amantea se”, partecipatissimo. Non sono gradite “le malelingue, la politica e la pubblicità”.
Mi lascio alle spalle Amantea nel momento di maggiore intensità del disco solare. A poche decine di metri, un crocchio di ragazzini scruta in un secchiello qualche patella appena strappata agli scogli.
John Trumper ha scavato nelle origini del termine “patella”:

Dribblo un paio di famigliole sotto gli ombrelloni. Farebbero a pezzi l’ambulante rumeno pur di darne le mercanzie in pasto ai nipotini: “Vendimi ‘sta pistola ad acqua. Due euro? Ma sei pazzo! Ti do 50 centesimi”.
E penetro la spiaggia di Longobardi, dopo aver attraversato Belmonte. Qui incontro Renato e Carmela “Luna Minoica”. Entrambi liberi artigiani, persone tanto accoglienti quanto creative, mi presentano due artisti calabro-toscani: Lia Pantani e Giovanni Surace. Hanno appena completato un lavoro a San Giovanni Valdarno, nella residenza d’artista che fu la casa del grande Masaccio, nell’ambito di “Work on the planet”. La loro performance consiste proprio nel distribuire una maglietta con la scritta “Casa Masaccio”. All’interno della T-shirt una frase carica di pathos: “I profughi che partono sui gommoni sapendo di lasciare tutto e, forse, di non trovare niente, portano con sé le chiavi di casa accuratamente chiusa prima di allontanarsi”. Chiaro il messaggio: un giorno l’artista abbandonò la sua casa, lasciandola aperta. E solo così è potuta divenire l’abitazione di altri. Per gli uomini d’intelletto, nel medioevo, il viaggio era un fatto naturale. Se volevi creare, oltre che sopravvivere, dovevi essere per forza migrante. Ma se oggi chi proviene dai territori di guerra ha le sue buone ragioni per proteggere la propria casa, meno razionale è l’atteggiamento di quanti in occidente vivono barricati, circondati da telecamere e cani agguerriti, ossessionati dalla psicosi salviniana dell’invasione.
Mi fermo sul confine meridionale di Longobardi. Raccolgo le idee. Trovo ospitalità nel più rock’n’roll dei lidi tirrenici: il Lady Margherita, gestito da Samuele che mi offre una granita di limone artigianale dal sapore ineguagliabile. Ancora strette di mano. Conosco Daniela “Medea Ursae polaris”, romana de Roma. Facciamo una chiacchierata sul tema delle navi dei veleni. Lei m’interroga, si pone tante domande, conclude amara: “Il problema dell’Italia è l’omertà”. Ci sciogliamo in un sorriso amaro ma liberatorio, di condivisione.
Ritrovo Marino, vecchio amico, che mi segnala il concerto dei Tulipani, una band che proprio qui ha trovato la sua gestazione cinque o sei anni fa. Suoneranno qui al Lido Lady Margherita il 13 agosto.
L’11, invece, esibizione Shabd’ Express: percussioni e yoga al tramonto, saluto al sole. È un calore di piacevole intensità, quello che ti riscalda la pelle a Longobardi. Un sole che farebbe riflettere il fisico e astronomo Franco Piperno:

(continua)

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