Le domande di Amantea

I CALABRESI ARRABBIATI saranno tutti ad Amantea, in provincia di Cosenza, sabato 24 ottobre. E in tanti arriveranno anche dal resto di Italia. Ne verrà fuori una manifestazione popolare, una di quelle destinate a segnare la storia di questo lembo di terra.
A una settimana dal corteo, ci sono già 150 adesioni, tra associazioni ed enti locali. Si partirà alle 9 dal lungomare per attraversare la statale. Chiusura in piazza dei Cappuccini. Oltre agli ambientalisti, provenienti da tutto il meridione, saranno presenti decine di comitati regionali. Gli albergatori offriranno tariffe ridotte per quanti vorranno fermarsi a dormire. Decine di pullman dalla vasta provincia cosentina. Fermento anche nelle università di Arcavacata e Catanzaro. Molto coinvolta l’area No Ponte di Reggio e dintorni, imbufalita sia dal coinvolgimento dei loro mari nella mappa delle «navi a perdere» sia dai recenti annunci di apertura dei cantieri sullo Stretto. Attesa una nutrita delegazione da Crotone, dove poche settimane fa in diecimila hanno urlato la propria indignazione contro il malgoverno locale, che ha consentito la costruzione di scuole e abitazioni imbottite di scorie tossiche provenienti dalla locale zona industriale.
In piazza a Crotone, al termine del corteo dello scorso 3 ottobre, sono piovuti fischi e contestazioni all’indirizzo delle autorità che si esibivano sul palco. Anche nel suo entroterra la Calabria è piena di gente arrabbiata che potrebbe aggregarsi al movimento del Tirreno. Ad esempio gli abitanti di Cavallerizzo, frazione di Cerzeto, franata nel 2005. Non solo non è stato ancora fornito un alloggio definitivo agli sfollati, ma la popolazione e la Sovraintendenza sostengono che il paese sarebbe agibile e quindi in teoria chi vi abitava potrebbe tornare a casa propria. In pratica, però, gli abitanti saranno costretti a traslocare nelle case di una Cavallerizzo ricostruita altrove. Quando sarà terminata.
Ma i veri protagonisti della mobilitazione del 24 sono le persone che vivono nei centri colpiti dall’emergenza delle scorie radioattive e tossiche. Negli ultimi giorni la protesta s’è accesa. I pescatori di Cetraro hanno prima dato vita ad una folta manifestazione nel porto e poi bloccato la ferrovia per una giornata, ottenendo la convocazione di un incontro a Roma con la presidenza del consiglio dei ministri, dal quale però sono tornati profondamenti delusi.
Intanto i sindaci hanno dato vita ad un comitato che avrà l’unica finalità di esercitare pressione sul governo, affinché pronunci al più presto una parola di verità sui presunti siti contaminati. E, soprattutto, li bonifichi. Tra i primi cittadini c’è anche chi, piuttosto che chiedere interventi urgenti, appare più impegnato a spegnere il fuoco della protesta con rassicuranti operazioni di marketing. Il Tirreno cosentino attira interessi forti. È una metropoli spezzettata lungo tutto il litorale. I paesini, che d’inverno contano pochi abitanti, in estate si moltiplicano almeno per dieci. E sarebbe un turismo ben più consistente e remunerativo, se negli ultimi venti anni la cementificazione selvaggia, la mancata depurazione delle acque reflue, i torrenti inquinati e gli scarichi abusivi non avessero fatto ammalare il mare. Ogni fine primavera, una macchia marrone appare in superficie a pochi metri dalla spiaggia. L’acqua diventa torbida, i villeggianti invocano l’intervento della magistratura e scappano, i sindaci si discolpano, i giornalisti strillano. A volte la procura interviene pure. Come qualche mese fa. Peccato che lo abbia fatto solo a stagione balneare in corso, disponendo il sequestro cautelativo dei depuratori e suscitando l’ira di albergatori, amministratori e degli stessi turisti.
Eppure, l’inquinamento provocato da scarichi fognari e industriali sembra quasi un ricordo piacevole, se confrontato con gli spettri nucleari tornati a volteggiare quaggiù. Da due decenni, a sprazzi, ci si chiede se nei pressi di Amantea, sotto il torrente Oliva, siano state sepolte scorie provenienti dalla motonave Jolly Rosso. Un filmato amatoriale degno dei migliori romanzi di fantascienza, la ritrae mentre si arena su una spiaggia deserta, in una luce spettrale, sballottata dal mare in tempesta. Sono sequenze che impressionano, come le riprese sottomarine effettuate da un robot di fronte a Cetraro, a quasi 500 metri di profondità, che mostrano un altro relitto, forse imbottito di fusti contenenti sostanze nocive per la salute e l’ambiente.
È quanto basta per desertificare l’area. Ed è un peccato, perché tra Amantea e Cetraro non si vivrebbe male. Amantea è popolosa, bella, ospitale e ricca. Cetraro vanta un meraviglioso tratto di costa. A metà strada c’è Paola, dove milioni di pellegrini visitano il santuario di San Francesco. Un po’ più a nord, Guardia Piemontese, sormontata da un centro storico mozzafiato, un tempo culla della cultura valdese in Calabria. Qui, dove la gente parla ancora il provenzale, nel 1561 l’Inquisizione fece carne da macello in una delle sue tante crociate intraeuropee, sterminando gli abitanti del paese. Proprio da queste parti il progetto Alta Velocità prevedrebbe la costruzione di un muro di cemento alto otto metri, per separare la ferrovia dalle abitazioni. Se fosse realizzato, non ci sarebbe neanche più bisogno di bonificare il mare, che scomparirebbe dietro una muraglia grigia. Già sono sorti comitati che si oppongono a questo ennesimo sfregio. In alcuni casi hanno costretto le amministrazioni comunali a ritirare i permessi. Cambiano i nemici della salute e del paesaggio. La rabbia rimane. Come le domande senza risposta. Il ministero dell’ambiente aveva mandato una nave, l’Astrea, specializzata in ricerche sottomarine. Se n’è già andata. Ufficialmente, perché non aveva strumentazioni adeguate. Starebbe per tornare, perché pare che nel frattempo si sia attrezzata. Ma una domanda si sente spesso formulare nei bar della costa: con tutti i mezzi ipertecnologici di cui lo Stato dispone, è possibile andare avanti con questo balletto di navi e robot che vanno e vengono? Nella scorsa estate, sulle spiagge e in mare, tre fusti sospetti sono stati recuperati dai diportisti. Uno, a Paola, davvero misterioso. Non si sa cosa contenesse. I più informati raccontano che i vigili avrebbero depositato il fusto in un magazzino. La mattina dopo, tornando a osservarlo, si sarebbero sentiti male e avrebbero fatto ricorso alle cure dei medici, forse a causa delle esalazioni. Seconda domanda: perché non si parla più di quei fusti? Di un altro episodio non c’è più traccia negli atti ufficiali e nella maggior parte delle cronache. Si tratta dell’ordinanza della capitaneria di porto di Cetraro del 18 aprile del 2007, annullata l’8 agosto del 2008. Informava i pescatori della presenza, nei sedimenti marini, di arsenico, cobalto, cromo e alluminio, rilevati da analisi effettuate dall’Arpacal, l’agenzia regionale per l’ambiente. La zona era più a nord del sito dove è stato individuato il relitto della Cunsky. Il quesito resta: da dove venivano quelle sostanze tossiche? Ecco perché è importante la manifestazione del 24 ottobre.
Migliaia di uomini e donne cammineranno insieme. Porranno le stesse domande. Riprenderanno la parola. Da queste parti, con i tempi che corrono, non è poco.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, ottobre 2009

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