Morire a 24 anni in cella

Si potrebbe quantomeno configurare il reato di omicidio colposo per la morte di Massimo Esposito, deceduto il 30 novembre ’97 nel carcere di Lecce. Il medico legale, Angelo Del Basso, incaricato di eseguire l’autopsia sul corpo del giovane cosentino, avrebbe dovuto depositare i risultati lo scorso 30 gennaio, ma ha preso tempo prima di consegnare la perizia. «E così – denuncia Loredana Esposito, sorella del ragazzo – sono passati cinque mesi e non sappiamo ancora la verità sulla morte di mio fratello. Non avremo pace fino a quando non conosceremo l’esito dell’autopsia». Massimo era finito in cella, perché ritenuto responsabile di una rapina avvenuta nell’autunno scorso a Lecce. Quando in città si è appresa la notizia del decesso, molti hanno avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di oscuro nella sua prematura scomparsa. Un primo referto parlava di «arresto cardiocircolatorio», ma non faceva alcun riferimento alle cause reali. Durante un interrogatorio, avvenuto il 26 novembre, il giovane aveva detto di sentirsi male da almeno quattro giorni e di avvertire forti dolori in tutto il corpo. Qualche anno fa era stato operato allo stomaco per un’ulcera. Non beveva, non fumava ed amava giocare a pallone. Secondo alcune ipotesi ed indiscrezioni, la morte di Massimo sarebbe stata causata da un’epatite cronica degenerata. Una fine raccapricciante perché il giovane avrebbe chiesto più volte aiuto alle guardie carcerarie, ma nessuno si sarebbe reso conto della gravità delle sue condizioni. Se sarà confermato il decesso per malattia, cadrà l’atroce sospetto che Esposito sia stato ucciso. Il fratello Armando, durante il rituale riconoscimento del cadavere, aveva notato un’ampia tumefazione nella parte destra del volto. La madre custodisce ancora le lenzuola della cella in cui dormiva il figlio. Qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare perché sono macchiate di sangue. «È ancora presto per parlare – dichiara il fratello maggiore Ruggero – ma se anche fosse morto per cause naturali, avrebbe avuto diritto a ricevere le cure dei medici e ad essere ricoverato in ospedale, come tutti gli esseri umani degni di questo nome». Nei giorni successivi alla misteriosa scomparsa del giovane cosentino, il sindaco Mancini ha incaricato l’avvocato Tommaso Sorrentino di assistere la famiglia Esposito. Massimo era nato e cresciuto a via Popilia. Nel quartiere lo conoscevano tutti. Era sincero e coraggioso. Il suo destino è identico a quello di tanti ragazzi senza reddito e prospettive, in una terra lacerata dalle contraddizioni. Nel volantino diffuso dopo la sua morte, gli amici ponevano una domanda inquietante: «Quanti casi Massimo Esposito ci sono nelle carceri italiane e quanti ne dovremo ancora sopportare?»
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 18 aprile 1998

 

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