Tracce di Annibale in Presila?

Da qualsiasi punto cardinale fosse arrivato, il nemico avrebbe dovuto scontrarsi con un sistema difensivo invulnerabile. E nel pieno dell’intricata foresta sarebbe stato stritolato da attacchi concentrici, sfiancato da un terreno roccioso e ostile, fiaccato da imboscate fulminanti. Mura di cinta lunghe decine di metri, accompagnate da un camminamento che fungeva da trincea. Resti di fortificazioni trasformano l’intera collina in un torrione inespugnabile. Sentieri protetti, strategici varchi e accessi ricavati nella roccia. Infine, una via di fuga perfetta, verso oriente, in groppa al fiume Neto che scarica tutto nel mare Jonio. Se ad ideare tutto ciò fu un allevatore ansioso di preservare greggi e mandrie, come minimo doveva avere la stazza di Polifemo. È più probabile allora che ad innalzare quelle mura difensive sia stato uno degli antichi popoli invasori di queste terre: i Longobardi nell’alto medioevo o, molto prima, l’esercito di Annibale nel terzo secolo A.C..
Un interessamento della Soprintendenza c’è già. In via informale gli esperti hanno effettuato un sopralluogo, rilevando le somiglianze tra la tecnica di costruzione del Vallo di Adriano e questi manufatti presenti in località Petrone, a pochi passi da Pedace. Al momento gli studiosi però non si sbilanciano. Ma l’accostamento ideale tra le due fortificazioni, così distanti nello spazio, lascia aperta l’ipotesi che nel territorio oggi rinominato Casali del Manco, sapienti mani romane abbiano allineato le due file di pietre legate da una malta rudimentale. Forse si trattò di manovali forzati, soldati prigionieri dell’esercito guidato dal grande condottiero africano che per anni si insediò nell’odiata penisola latina. Sul sito sono previsti entro l’autunno nuovi sopralluoghi degli archeologi.
Esiste la Presila?
Bisogna inerpicarsi a 900 metri sul livello del mare per potersi rendere conto di quanta bellezza naturale, storia e segreti custodisca la “Presila”, un termine che molti dei pensatori locali contestano: in effetti ci troviamo nella Sila vera e propria. Il prefisso “Pre” è funzionale solo a congelare questi luoghi in un’eterna anticamera, un limbo sospeso tra la vicina valle del Crati e i paesaggi meravigliosi dell’altopiano. Il toponimo Presila è inventato dal celebre geografo Giuseppe Isnardi e scritto per la prima volta, durante il fascismo, sulla Treccani nella definizione della Sila. Nicola Misasi, che produce decine di novelle ambientate nei casali, non usa mail il termine “Presila”, bensì “Casali”, e considera silani non solo i cosentini e i casalini ma addirittura anche i catanzaresi e gli abitanti dei paesi della Sila Piccola.
Tra i boschi di Gioacchino
Oggi a scoprire le probabili tracce di un’antichissima roccaforte tra i fiumi Cardone e Jumiciello, è Peppino Curcio, inesauribile studioso, scrittore, attivista dei diritti sociali, autore di importanti ricerche sulla storia locale, e molto altro. La passeggiata con lui è un’eruzione di racconti impregnati di colori intensi: il rosso sangue dei briganti, il nero dei vestiti che indossavano come una divisa immutata nei secoli. Tenebroso anche il paesaggio che solcavano, vivificato dal verde dominante di castagni e ulivi attecchiti ad altitudini insolite. Ogni balza, qualsiasi passaggio nei cespugli spinosi, sparge profumi selvatici di finocchio e mentuccia. Curcio cita l’autorevole Gabriele Barrio che già nel ‘500 nelle sue cronache riferisce di un casale abbandonato in località Greca. Intorno al 1861 un altro storico, Davide Andreotti, attribuisce allo studioso Domenico Martire, vissuto tra il ‘600 e il ‘700, l’identificazione di località Greca con l’altura di Petrone. In effetti risultano zone limitrofe, oggi con due nomi distinti. Martire sostiene invece che Greca e Petrone sarebbero la stessa cosa. Da queste parti, secondo le ipotesi di studiosi come Peppino Curcio, alla fine del XII secolo l’abate Gioacchino da Fiore avrebbe fondato il suo ordine. Petrone coinciderebbe dunque con la mitica Pietralata. E sempre qui i suoi seguaci avrebbero lavorato nella produzione della preziosa farina di castagno. Luoghi per coltivare grano ce n’erano ben pochi, mentre la quantità di castagneti e mulini è evidente. La trasformazione delle castagne in “pistilli” garantiva la sopravvivenza della comunità e la produzione del pane. Il macinatoio fu poi ricostruito nel ‘700 e mantenuto operativo fino alla metà del secolo scorso. Ancora oggi è possibile visitarne i ruderi. Un funzionario della Soprintendenza, Pasquale Lopetrone, ha scoperto che prima Gioacchino e dopo i gioachimiti comprarono 180 ettari di terreni tra Pedace, Pietrafitta e Torzano, l’odierna Borgo Partenope. Lo prova il Cartulario delle fondazioni florenzi da lui trascritto e approfondito in occasione del restauro della chiesa di Canale che è il luogo dove l’abate morì nel marzo del 1202. In particolare a Gioacchino fu concesso un mulino sul fiume Cardone nel 1198; nel 1201 gli fu affidata la chiesa di Canale e nel 1211 il vecchio mulino venne riparato. Sappiamo che si tratta sempre dello stesso macinatoio, perché situato in località Guado di Pedace, cioè nel punto di attraversamento del fiume. Infine nel 1204 i Gioachimiti comprarono terre in località Greca. Sull’esatta localizzazione dell’area in cui l’ordine fu fondato, da anni persiste una disputa tra gli studiosi. Molti storici, tra cui Leonardo Falbo, la individuano a Marzi dove esiste questo toponimo. Di sicuro intorno al 1189 l’abate e i suoi seguaci si trasferirono in Sila, a Jure Vetere, tra la zona dell’attuale Lago Arvo e il territorio in cui 300 anni dopo sarebbe stata fondata San Giovanni in Fiore che a quel tempo ancora non esisteva.
Misteri irrisolti
Resta molto da scoprire e soprattutto da capire. Difficile datare al basso medioevo la fortificazione eretta sul Petrone, ammesso che fosse tale. È più probabile che sia stata eretta molto prima. Ma cosa avrebbe dovuto proteggere? Era un presidio difensivo del quartier generale posizionato nei paraggi? Alle sue spalle stazionava l’accampamento militare con il grosso delle truppe? Faceva parte di un più ampio sistema d’avvistamento collegato con la zona dell’attuale torre campanaria di Pedace e con altre vedette a ridosso della valle del Crati?
Custodi di tanti segreti restano le fresche acque dei fiumi sottostanti, che pare vogliano sfidare il viandante a penetrare i misteri di queste ombrose alture, gelose dei propri enigmi, percorse da guerrieri, banditi, monaci e ribelli di ogni tempo.
Claudio Dionesalvi
(fonti e informazioni storiche sono state fornite da Peppino Curcio)

 

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