Ritrovato l’antenato del DVD: leggeva lo “spirito” della città

“Ci pensi che quasi 2mila e 300 anni fa le mani di una donna tessevano una tela usando quest’oggetto e lo offrivano agli Dei e alla natura?”
È stato rinvenuto in superficie, sul Pancrazio, nei pressi del castello svevo, dopo il passaggio di una ruspa. È soltanto un dischetto in argilla con due forellini, ma Pietro Salzano e Franco Gagliardi, raffinati fotografi, lo maneggiano con cura. Quasi fosse vivo, lo mostrano ai propri figli ed ai loro amici, lasciando che lo sfreghino con le manine come la lampada di Aladino. Sono due appassionati esploratori degli angoli più nascosti di Cosenza, luoghi che spesso attraversiamo distratti, senza coglierne il valore storico e naturalistico. Più che da un hobby, sono animati da un’irresistibile attrazione. Operatore in un call center il primo, distributore di farmaci il secondo, appena possono, si concedono delle evasive ricognizioni tra fossili e ruderi, nelle boscaglie dove nessun ricercatore ormai più si spinge. E catturano immagini suggestive, raccattano reperti che non t’aspetti. “Mentre cammini con la macchina fotografica tra le mani, non vedi niente: tutto ti sfugge. Però basta fermarti per un istante e guardarti intorno per scoprire dettagli incredibili”, spiegano.
“Ma quello… è un oscillum!” A riconoscere il valore storico dell’ultimo ritrovamento è stata Giada Chiodo, laureanda in archeologia, anche lei operatrice presso un call center. Pietro lo ha tirato fuori da una borsa e glielo ha mostrato, al termine di una giornata di lavoro. Con l’entusiasmo dell’astronomo che osservando un corpo celeste all’improvviso ne riconosce l’identità, lei ne ha scoperto le origini. Pur senza sbilanciarsi, la giovane studiosa ha visto in quel manufatto circolare una narrazione che sovente sfugge ai professionisti della ricerca, spesso annidati negli uffici della Soprintendenza dove anche le menti migliori si abbozzolano per mutarsi in larve di impiegati.
“Non sono in grado di risalire, così a prima vista, alla datazione del reperto. Di sicuro è molto antico, potrebbe appartenere all’età magnogreca o a quella latina. Ed è probabile che si tratti di un riuso, cioè fungeva da coperchio di un recipiente e in seguito è stato riadattato a strumento di lavoro e di probabile ritualità”, spiega Giada.
Schietta e puntuale è la disamina dell’architetto Domenico Canino, attento studioso di archeologia, autore di scoperte importanti, prima tra tutte quella dell’elefante di Campana. “L’oggetto ritrovato sul monte Pancrazio di Cosenza, che mi mostri nelle fotografie (perché è già stato consegnato alla Soprintendenza -Ndr), sembra un “oscillum”, un oggetto discoidale di terracotta di piccolo diametro, con una piccola figura non leggibile perché consunta sul lato convesso e con il lato concavo non decorato. Questo oggetto – precisa Canino – era in uso nel periodo magnogreco del Sud Italia, IV°- I° sec.a.C. I due fori lo individuano quasi con certezza. Perché durante alcune feste e cerimonie sacre veniva appeso agli alberi, a scopo votivo, attraverso una corda che passava dai due fori. Se ne trovano in gran numero in tutta la Magna Grecia da Paestum alla Sicilia. In epoca romana si continuò ad usare gli oscillum nelle cerimonie, ma quelli di epoca romana erano molto più raffinati esteticamente, con figure scolpite in bassorilievo. Questo semplice oggetto ci racconta un’epoca in cui sotto il colle Pancrazio, gli abitanti di Cosentia celebravano feste e cerimonie sacre, appendendoli agli alberi, con canti e musiche, alla luce della luna e delle torce. Il contesto archeologico in cui l’oggetto è stato trovato – conclude lo studioso – è molto importante, perché è probabile che vi siano sepolti tanti altri oggetti”.
Dunque, essendo stato ideato come peso del telaio e marchio dell’abito prodotto, aveva un valore d’uso. Ma assumeva soprattutto una funzione simbolica. Era un rudimentale DVD, leggibile mediante un gigantesco hard disk costituito dall’azione sinergica della terra e del vento. Ripetitivi apparivano i movimenti delle mani femminili impegnate nella tessitura, simili al riproporsi dei cicli della vegetazione nell’alternarsi delle stagioni. Come le maschere apotropaiche, stimolatrici della fertilità, in età arcaica l’oscillum era impiegato per incoraggiare la fertilità della terra. Appeso agli alberi, dondolava per trasmettere al terreno la potenza rigeneratrice del vento. A prescindere da qualsiasi possibile interpretazione, un ritrovamento così facile e casuale conferma la potenza immaginifica e le risorse archeologiche di un territorio che al di là dei periodici e roboanti annunci strombazzati dalla locale classe politica al potere, rimane ancora tutto da esplorare.
Claudio Dionesalvi

1 Comment
  • Barbara De Santis
    settembre 29, 2018

    Complimenti ai ritrovatori di questo bellissimo manufatto e a te per la puntuale cronaca . La nostra bellissima città ha ancora molto da donare…Un abbraccio grandissimo

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