Non è tutta lì l’antica Sibari

C’è un luogo circonfuso di magia e mistero, che racchiude in sé tutta la potenza narrativa della storia antica. Mortificato da ricorrenti esondazioni e dall’incuria, il sito archeologico di Sibari pare abbia rinunciato a porre domande. A pochi passi dalla strada statale 106 jonica giace un ex cantiere archeologico dimenticato, abbandonato all’oblio. Eppure, c’è chi come il Professor Carlo Forace sospetta che gran parte dell’antica metropoli sia proprio laggiù, ancora tutta da riportare alla luce.
Non soltanto la Sibaritide, ma tutte le terre di Calabria che calpestiamo pongono delle domande. In virtù delle risposte che potrebbero emergere, se si impegnassero fondi per effettuare scavi e studi, molti siti di interesse archeologico diverrebbero attrattivi come accade in altre aree geografiche del pianeta. Contribuirebbero a generare un turismo meno distratto, mangereccio, legato all’effimero. E dei luoghi che abitiamo fornirebbero un immaginario meno deprimente.
Qualche giorno fa, tanto per citare un esempio, lo studioso Domenico Canino ricordava che “nel dicembre 2017 la Sovrintendenza archeologica della Calabria presentava in pompa magna, in quel di Cupone, il ritrovamento di uno scheletro fossile completo di Elephas Antiquus, ritrovato nel lago Cecita. Una specie estintasi circa 30,000 anni fa! Un vero tesoro archeologico (…) La regione Calabria aveva promesso un finanziamento per coprire le spese sostenute per gli scavi, lo studio e il restauro dei reperti, che poi sarebbero dovuti tornare in Sila per divenire attrazione turistica  (…) ma non ha ancora erogato il finanziamento promesso, e dunque nessuno studio si è potuto effettuare”.
Quello della Sila è solo uno degli innumerevoli casi di ritrovamenti che richiederebbero studi specifici. Non si può sperare che per effettuarli debbano sempre e solo intervenire università straniere come in diverse circostanze è avvenuto. Tra i tanti siti suggestivi, restano in attesa di risposte le pietre e i manufatti di Girifalco, Cassano, Campana, Castiglione di Paludi, Casali del Manco, intorno alla fiumara dell’Amendolea e all’abbazia di Corazzo (su questi siti, approfondimenti in coda al testo -Ndr).
Se la Regione Calabria non fosse un’istituzione parassitaria, se questo ente non meritasse d’essere abolito, tra i primi punti programmatici dei candidati alle prossime elezioni un posto di rilievo dovrebbe spettare all’archeologia. Sì, è chiaro che le priorità sarebbero ben altre: la messa in sicurezza del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico, la sanità, il diritto all’abitare, lo smaltimento dei rifiuti, la bonifica dei territori devastati dall’inquinamento. Tutte questioni sulle quali negli ultimi decenni i governi regionali hanno fallito. Allo spregio delle risorse presenti in natura si unisce quello delle potenzialità culturali. Per comprendere quanto sia mortificato il patrimonio archeologico, meglio ascoltare la viva voce di un appassionato di storia del territorio.
Claudio Dionesalvi
intervista al Professor Carlo Forace:

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