E il dialetto cosentino illumina il “Rendano”

Il teatro di ricerca irrompe tra i velluti del Rendano. La compagnia Krypton ripropone, questa sera alle 21, “U juocu sta finisciennu” (Finale di partita), di Samuel Beckett. Nell’esperimento di traslazione della forza espressiva del dialetto, il cosentino spezza i tradizionali canoni del grottesco e penetra il muro che separa il linguaggio parlato della letteratura, grazie anche ad una magia del professor John Trumper, traduttore dall’edizione inglese del testo.
A Giancarlo Cauteruccio, mente ispiratrice di Krypton, il compito di presentare lo spettacolo, partendo dal lavoro svolto dalla sua compagnia all’interno del Teatro Studio di Scandicci, a Firenze.
“Quando ho avuto l’affidamento per la direzione artistica di questo nuovissimo teatro nella periferia fiorentina, ho immaginato subito la possibilità di realizzare un teatro come quelli esistenti nella periferia parigina, dove si sperimenta davvero. Ho cercato di penetrare la città. È noto che le periferie, sul piano dei servizi, della cultura e dei passatempo, tendono a spostarsi verso il centro storico. Lì iniziai a fare un lavoro di coinvolgimento dei giovani, che si organizzavano nei primi esperimenti di centri sociali, oppure vivevano alla deriva, o portavano con sé handicap fisici. Ho messo tutto questo in gioco, in maniera molto diretta, realizzando “La città del desiderio”, ispirato alle Città Invisibili di Calvino. Da qui nacque il Teatro Studio, che in pochi anni è diventato un punto di riferimento per il teatro di ricerca nazionale e in genere per il settore delle arti sperimentali”.
Quindi una sorta di laboratorio permanente…
“Sì, credo che il teatro debba farsi laboratorio permanente. Non avrebbe senso mettersi in testa di portare avanti le questioni della produzione e del mercato, perché vorrebbe dire imbastardire l’arte. In tutte le città italiane, i teatri storici tendono ad abbassare il tiro sul piano culturale, per avere il mercato, evitare le rimesse e gli sfori economici. Ma questo è assurdo. Uno Stato democratico deve prima di tutto garantire la cultura, che non può essere garantita dal mercato, perché in questo caso avrebbe ragione Berlusconi. Se anche le sinistre pensano di spostare l’asse su un piano commerciale, possiamo anche trasferirci in America”.
Lei si è formata negli anni settanta. Cosa è rimasto di quella generazione?
“Ho vissuto il ’77 e ho difeso quei valori attraverso il mio lavoro artistico. La mia generazione è stata in qualche modo molto vicina alla lotta armata. Da quella generazione sono venuti fuori artisti che hanno rinunciato alla lotta armata, ma si sono armati di creatività e sono andati a riprodurre linguaggi che sono diventati dirompenti per quella staticità in cui eravamo venuti a trovarci”.
La grande scoperta di Krypton consiste nel laser.
“Sì, il fatto che riuscii a portarlo nei teatri di tradizione, come il Rendano, fu un evento sconvolgente, di cui ancora si parla. Franco Corbelli del Corriere della Sera parlò della nostra Eneide come di uno dei piccoli classici del teatro italiano”.
Da allora avete fatto molto cammino.
“Abbiamo percorso l’Europa e l’Italia. Per esempio, un “Pitagora” scritto da un autore cosentino, Marcello Bruno, è sbarcato nel Teatro Municipale di Mosca. Oggi siamo di scena al Rendano. Mi aspettavo accolto con più interesse da parte delle istituzioni cosentine, ma così non è stato. È uno spettacolo che forse per la prima volta in Italia mette in gioco una lingua che non è mai stata messa a confronto con una drammaturgia reale, come quella beckettiana. Ricordo spettacoli bellissimi: “Mashcare e diavuli”, per esempio, del Centro Rat. Ma si trattava di una performatività molto legata alle questioni antropologiche, che poteva certificarsi più direttamente la scelta. In questo caso, invece, diventa una scelta estrema, di rottura, una presa di posizione politica precisa. E allora questa lingua, così violenta, arcaica, dirompente, passionale e allo stesso tempo violenta, entra nella complessità della partitura beckettiana e ne esce vincente. È come se nella traduzione dall’inglese questo testo avesse recuperato una carnalità che Beckett voleva dare a questo testo e nella traduzione italiana, invece, perdeva. Questo è il motivo per il quale lo spettacolo ha avuto grande successo, specialmente nel nord Italia. Quest’anno siamo stati invitati in uno dei festival più importanti, che è “Milano Oltre”. Al debutto abbiamo avuto dieci minuti di applausi. I beckettiani presenti in sala si sono trovati di fronte ad un’operazione di un certo livello.
U juacu sta finisciennu, i suoi interpreti – che va ricordato sono Giancarlo e Fulvio Cauteruccio, Alessandro Russo e Laura Marchianò – si appresta a scavalcare l’oceano, negli Stati Uniti, dove la potente comunità calabrese residente vuole realizzare a tutti i costi un tour di Kripton. U juacu sta pé finì, ma il divertimento inizia ora”.
Claudio Dionesalvi
Il Domani sabato 25 marzo 2000

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