Non seppellitemi vivo

Proprio vicino ad una delle zone più oscure della città di Cosenza, precisamente a due passi dalla sbiadita villetta di via Roma, esiste uno dei pochissimi posti per i quali vale la pena di sentirsi Cosentini. Il Teatro dell’Acquario è il frutto di un gruppo di (ex) giovani che hanno concretizzato il loro percorso di interesse per l’attività spettacolare, edificando un teatro dalle fondamenta.
Recentemente l’Acquario ha prodotto, con la regia di Franco Dionesalvi e Antonello Antonante, un’interessante performance che ha fatto il giro della penisola, riscuotendo un grosso successo, arrivando peraltro nei primi quattordici nel corso “premio scenario”. Si tratta di “Non seppellitemi vivo”, uno spettacolo che ripercorre la vita di Lorenzo Calogero, poeta reggino morto suicida negli anni sessanta.
Sul palcoscenico si muovono in quattro, tra cui una donna: la sua valenza altamente simbolica, i movimenti quasi impercettibili, la sua metamorfosi è triplice. La messa in scena del personaggio non viene affidata a un solo attore e forse proprio questo conferisce alla storia l’aura di misticismo che l’avvolge. L’uomo e il tempo dell’enunciazione sono sintetizzati e rappresentati attraverso la ripartizione in tre distinti momenti: al centro della scena allestita con pochi oggetti, agisce il Calogero, poeta con il suo angoscioso ripetere versi ed aforismi, scuro nell’oscurità, perentorio nei movimenti, anch’egli quasi imbalsamato!
Alla sua destra pulsano i battiti di un altro Lorenzo Calogero, quello che proviene direttamente dalla dimensione dell’impossibile. Egli infatti suona una fisarmonica che nella realtà il poeta non sapeva suonare. Lo sceneggiatore ha scelto di concedere a Calogero il dono della musicalità, una componente non marginale in uno spettacolo simile: il suono accompagna superbamente l’evolversi della vicenda. Il terzo ed ultimo Lorenzo ha un’andatura che ricalca il fluire del tempo. L’attore è Dante De Rose, la sua interpretazione è senza dubbio magistrale. Egli impersona l’aspetto folle del carattere. L’uomo di Melicuccà non era esente dalla tradizione che nella storia ha unito i poeti con il filo della “pazzia”.
Il Calogero “deviato” cammina sul bordo della scena aumentando gradualmente la velocità e l’intensità della sua azione; il corpo chinato leggermente su un fianco, lo sguardo teso. La sua voce, con un marcato accento reggino, racchiude il corso della storia di un uomo emarginato, sofferente, tendente al suicidio e infine chiuso in manicomio. L’uomo deve fare i conti con la donna che si annida dietro la cornice di un quadro.
Nonostante la significazione sia molto sfumata, è chiaro che la figura di donna rappresenta prima la madre, poi la sessualità e infine la morte. I tre Calogero incrociano il loro sguardo in un momento preciso dello spettacolo, quasi a volersi passare un testimone prima di incontrare la donna che consegna loro il velo funebre.
Lorenzo Calogero chiude la sua vicenda urlando a squarciagola il messaggio tipico dei maledetti. Proietta sullo spettatore una cruda sensazione estatica, riempie la sala con il suo: “Non seppellitemi vivo”.
Oggi il vero mondo dello spettacolo (non quello di Pippo Baudo) subisce, insieme ad operai e lavoratori dipendenti, le angherie di un governo che si accanisce contro i meno abbienti per sanare il suo deficit.
Il teatro dell’Acquario, come tutti i luoghi in cui si produce cultura, deve fare i conti con i tagli ai finanziamenti e la crisi in atto.
Prima di assistere allo spettacolo si respira una strana atmosfera: ci sono molti studenti curiosi; in prima fila sono assiepate le solite facce d’avvoltoio. Si tratta dei passati assessori alla cultura e al tempo libero, aspiranti ad una poltrona calda per le prossime elezioni.
Antonello Antonante, un “mangiafuoco” che del personaggio collodiano ricorda solo vagamente l’aspetto, è troppo civile per buttare i politicanti opportunisti fuori dal teatro… in realtà dovrebbero farlo gli spettatori! A Cosenza proliferano i centri medici di analisi e, secondo il futuro piano regolatore (pomo della discordia da vecchio consiglio comunale), dovrebbero sorgere nuove chiese.
Contemporaneamente, strutture come l’Acquario annaspano e la biblioteca civica sta per essere chiusa definitivamente.
La gente ci tiene a curare corpo e spirito; forse ha deciso di farla finita con l’ingombrante cervello… in fondo ce lo portiamo dietro da mezzo milione di anni.
Claudio Dionesalvi
Tribuna Sud Italia, novembre 1993

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