Andura ho visto e vissuto “Andura”

Con una guancia tumefatta e l’altra sbaciucchiata. Una parte di sé ricoperta di lividi, l’altra allietata da tenere carezze. Commossi, divertiti, storditi: si esce così dal teatro dell’Acquario, dopo aver visto la prima di “Andura”, la più recente fatica drammaturgica di Sergio Crocco. Stavolta il dramma c’è tutto, emerge solo di rado l’atmosfera comica che tanta ilarità ha scatenato sulle labbra del pubblico “canalettiano” negli ultimi anni. Più che risate, sono lacrime, contrazioni e sorrisi amari quelli che accompagnano la ricostruzione scenica della vita di Roberto Giacomantonio, orchestrata da una Francesca Marchese nei panni di sublime mamma ed efficacissima regista. Non c’è commiserazione, non affiora la retorica piagnona sulla disabilità. Al contrario, nell’ineluttabile gioco di immedesimazione, a tratti capita quasi di provare invidia nei confronti di Roberto che mette a nudo la totalità della sua vicenda umana. In un tempo che ci ha abituato all’esibizione sui social delle proprie parzialità a scopo narcisistico e antidepressivo, una storia personale rappresentata nella sua interezza, senza remore e nascondigli, penetra impetuosa nello sguardo della mente. E riesce a scuoterla, oltre a purificarne le incrostazioni del pregiudizio. Formidabile la chiave escogitata per imporre un tema “scomodo”: la sessualità e il desiderio nelle persone disabili. È una ricerca dell’eros tra ironia e consapevolezza. La legittima aspirazione al piacere manda al tappeto i tabù del pietismo che vorrebbe confinare le persone in carrozzina nella presunta dimensione delle “anime belle” e, in quanto tali, scevre da qualsiasi aspirazione alla voluttà. Il messaggio risulta efficace anche in virtù dell’ormai celebre bravura di Antonio Filippelli che, come tutti gli attori comici, quando interpreta ruoli un po’ più grevi assume una potenza comunicativa sorprendente. La dissociazione del protagonista tra guappo e severo, già sperimentata con successo nelle performance comiche ideate da Sergio, trova una sintesi ideale in Sara Muto nei panni della fidanzata di lui, quindi di entrambi. Come le penetranti evoluzioni di Ida Luchetta, rimangono impresse le passeggiate tenui del dolce spettro di Anna Chiara, compianta sorella di Roberto, interpretata da Maria Noemi Gervasi. La voce del telecronista, che non poteva non essere affidata al sempre brillante Federico Bria, ribadisce che quel palo, colpito dal calciatore Lombardo in un Cosenza-Udinese del giugno 1989, ebbe la capacità di scindere e riorientare i destini di tante persone, a sottolineare che le curvature nello spazio-tempo spesso non dipendono solo da buchi neri e corpi celesti, ma anche da episodi in apparenza effimeri. Più che un palo, fu un bivio. Rimane allora il quesito: può esistere un andura, un ante horam, un poco fa? La riflessione non riguarda solo la condizione di chi è privato della capacità di muoversi, ma in generale investe la dimensione umana. Sono i luminosi bambini-attori, Michela Speziale, Gianmarco Magarò ed Enzo Mario Granato, insieme allo stesso protagonista, a segnalarci che il tempo è una misura opprimente solo per chi si lascia schiacciare dalla sua incombenza. Che l’immobilità a volte può mutarsi in volo. Purché si riesca a vivere il presente come un eterno “andura”.
Claudio Dionesalvi

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