“La stanzetta è diventata il nostro tutto”

 25 MARZO, ORE 18:46, Racconto collettivo e momentista, a cura delle ragazze e dei ragazzi della IA e dei professori Gennara Topazio e Claudio Dionesalvi
(Scuola media di Lauropoli)
Sintonizzando i nostri cuori sulle frequenze della fantasia, tutti nello stesso preciso momento della giornata, descriviamo le emozioni che stiamo provando, raccontiamo i suoni, le voci, gli odori, i colori e le immagini che riceviamo dal mondo.
Poi proveremo a mettere insieme i nostri pensieri, come se a scriverli fosse stata un’unica mano.

Gocce di pioggia bagnano il suolo. In strada non si vede anima viva. Non sento niente, fuori c’è un silenzio tombale. Da quando si è verificata questa emergenza, l’aria è pesante: tutti hanno paura del virus, ha provocato una crisi in tutto il mondo, ci sta rovinando tutti. Chiusa nella stanza, sto un po’ al telefono, chatto con i miei amici. È brutto non poter uscire, ma tali sono le regole che vanno rispettate per non peggiorare questa situazione già critica. Trascorro le giornate ad allenarmi nei giochi virtuali. A volte studio, ma quasi quasi mi manca anche svegliarmi presto la mattina per andare a scuola, ritrovarmi con i miei compagni di classe, fare ricreazione con loro. Mi mancano delle persone, poche ma mi mancano. Ho nostalgia dei miei amici e di quella parte bella di socialità che la scuola ci offre. Le giornate sono le stesse, ripetitive; l’unico lato positivo è che per seguire le videolezioni mi sveglio prima di mezzogiorno. Prima potevo uscire con le mie amiche, adesso mi sento sola e inutile, non riesco a pensare che per giorni e giorni dovremo rimanere ancora a casa. A me non è mai capitata un’esperienza del genere, stare qui sdraiata sul divano a fissare fuori, vedere gli uccellini cinguettare la mattina, il rumore della pioggia, i grilli cantare fuori dalla finestra. Onestamente non mi ero neanche resa conto del fatto che siamo in primavera; volevo rimanesse inverno per sempre, ma questo non è possibile. Oltre al canto dei grilli, sento anche il vento. Pare d’essere in un posto dove non c’è più nessuno. È consolante la certezza che prima o poi ritroverò tutti e sarà ancora più bello incontrarli. Rimpiango tanto anche i professori. Mi manca soprattutto il vostro salto dalla finestra, prof, che spero di potere rivedere presto. Fra poco, se non muoio per il corona virus, muoio per lo stare chiusa in casa. Io di solito esco sempre con gli amici. Ecco, sono ridotta male: se mi commisero, vuol dire che ho perso l’ironia.
Eppure, credo che in fondo tutto questo periodo ci serva anche a riflettere un po’. Intanto la pioggia batte sui vetri delle mie finestre. Vedo quelle gocce leggere scivolare sul vetro, le lancette dell’orologio producono un ticchettio, che ascoltato nel silenzio più totale, ti rilassa. La stanzetta è diventata il nostro tutto. Avverto l’odore del profumo delle rose che spruzzo d’acqua solitamente nella mia stanza. Se non fosse per il Covid-19 che ha paralizzato il pianeta intero, sarei felice. In fondo ho tutto quello che si possa desiderare: la salute, la famiglia, il tempo libero nel quale dedicarmi a ciò che mi piace. Sinceramente penso che in questa difficile circostanza tutti i professori siano stati capaci di tirare fuori il meglio di loro; la mia stima nei loro confronti è sicuramente aumentata. Vorrei che a nessuno mancasse il necessario per vivere dignitosamente questo periodo; penso in particolare a coloro che non hanno un lavoro o lo hanno perso a causa del blocco delle attività. Nel frattempo, fuori continua a piovere. È piacevole il suono della pioggia, in lontananza si sente solo un cane abbaiare, il rumore di una macchina che è passata. Uffa! Il telegiornale parla solo del coronavirus, sembra quasi che esista solo lui. Chissà perché ho scritto “lui”. In fondo, non è neanche un organismo vivente. È diventato un incubo. Mio fratello ne parla sempre con i suoi amici. Cerco rifugio nella PS4, provo a fare i compiti, poi con mia mamma finiamo pure noi a sintonizzarci sul canale 48 di RAI News per avere gli aggiornamenti su questo male silenzioso e pauroso che ci sta cambiando la vita. Ormai sembriamo dei robot. E comunque c’è qualcuno che deve sfidare il rischio del contagio: mio padre, per esempio, facendo l’autotrasportatore è costretto a viaggiare per aiutare il nostro Paese. Ogni sera abbiamo i nostri rituali: ceniamo prima che arrivi lui, e poi ci trasferiamo nella stanzetta che ormai è diventata il nostro tutto. Ci manca molto il nostro papà, ma soprattutto lo stare insieme la sera sul divano a riempirlo di baci e sentire le sue mani accarezzare il nostro viso. Ma in questi giorni bui, con il cielo così triste, tutto sembra ancora più nero. Speriamo arrivi al più presto la luce per tutti. Casa mia in questo momento è silenziosa. Gaia è andata dal nonno. Riesco a capire i suoi spostamenti dalla cucina al salone e a tratti avverto la sua risata e le sue urla. Davide è nello studio che lavora al computer. Io alzo lo sguardo e sul mobile davanti a me, tra le due sedie, si intravede la foto di mia nonna, bella con il suo sorriso, il giorno del matrimonio. Sorrido anche io, ma gli occhi si riempiono di lacrime. Dalla cucina viene un odorino squisito di un dolce che mia mamma sta preparando. Mia madre è impanicata come non mai a causa di questo virus; io e mio padre a volte scoppiamo a ridere per le sue reazioni esagerate. Tra un po’ la aiuterò a preparare la cena. Adesso ho fame e anche sonno.
Suonano alla porta. È Gaia. È finita la pace!!! Il chiassoso suo rientro è solo in parte coperto da una canzone di Melanie Martinez e dallo scroscio della pioggia. Il tempo fuori rispecchia il mio mood. Presto però ci riprenderemo tutto con gli interessi! Quando torneremo nella “vita reale”, spero che ognuno possa apprezzare quello che ha, senza rimpiangere o desiderare ciò che non possiede. Nonostante tutto, ritorneremo più forti di prima.

Care ragazze e ragazzi, il momentismo è stato realizzato per la prima volta in Italia nel 2001 dalla rivista “Storie”. Per confezionare questo testo, per assemblare i nostri pensieri, abbiamo applicato una tecnica inventata tanti anni fa dal movimento dadaista e ampiamente usata anche da uno scrittore americano di nome William Burroughs. Si chiama “Cut-up” e consiste nel ritagliare un testo scritto, mantenendo inalterate parole e frasi, poi rimescolandole per assemblarne un altro, senza seguire un filo logico. Il bello è che a volte, come accade in questo nostro testo, involontariamente ne viene fuori un racconto dotato di senso logico. È la tecnica seguita in TV dal programma “Blob”. E nel cinema è stata inventata da un regista sovversivo e indipendente che si chiamava Alberto Grifi. Nella storia della letteratura italiana, è un metodo di lavoro legato al nome di uno scrittore formidabile: Nanni Balestrini. 
Nel nostro racconto abbiamo scelto di dare alla voce narrante un genere femminile, anzitutto perché in maggioranza sono state le alunne a inviare il proprio frammento. Poi perché la scrittura femminile è più portata alla sensibilità e, in generale, le donne sono infinitamente più forti e intelligenti dei maschi. Lo confermano anche i dati di questa pandemia: le donne si ammalano e muoiono molto meno degli uomini.
Questo testo dimostra che anche a distanza possiamo diventare un unico corpo, un’unica mente e, per chi ci creda, un’unica anima. Un filosofo francese di nome Georges Lapassade ci ha spiegato che la nostra coscienza, in situazioni di privazione della libertà, è capace di viaggiare fuori dal corpo. Vi chiediamo adesso di individuare all’interno del racconto, sottolineandole, tutte le parole (gli aggettivi) che indicano; DESCRIZIONE, SENSI (OLFATTO, VISTA, UDITO, TATTO, GUSTO), SENTIMENTI (PAURA, NOSTALGIA, SERENITÀ, TRISTEZZA, FELICITÀ), FORZA, FUTURO.  
E soprattutto vi preghiamo di soffermarvi sul modo in cui abbiamo applicato l’interpunzione (la punteggiatura), che è qualcosa in cui dovreste migliorare. L’esperienza di questi giorni dovrebbe infatti educarci a usare le pause, a cogliere l’importanza del silenzio e dell’ascolto, nella vita di tutti i giorni come nella scrittura.
Un abbraccione forte
prof. Claudio e prof.ssa Genny
Nota del prof. Claudio: Questo è un gioco che praticavamo spesso nella Coessenza, l’associazione culturale di cui faccio parte. Per giocare insieme, bastano l’ascolto reciproco e l’amore per la scrittura. Il titolo è una frase contenuta nel testo scritto da una di voi, Rebecca. La foto è stata scattata in Sicilia, l’estate scorsa, da un grande fotografo. Si chiama Franco Gagliard, è mio amico ed è papà di due ragazzi meravigliosi, poco più grandi di voi. È riuscito a immortalarmi mentre al ritorno dalla spiaggia fissavo una libellula posata sull’antenna della mia auto. Franco ha colto l’attimo, quel preciso e irripetibile momento, riuscendo a rendere infinito l’istante che precede il volo della libellula. Come i nostri pensieri, capaci di posarsi, librarsi in volo, connettersi tra di loro, anche senza collegamenti WiFi!

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