Autonomia differenziata per la scuola? E perché no?

Dovremmo prenderla sul serio, quaggiù in Calabria, l’autonomia differenziata che sta per entrare in vigore. Proviamo allora a immaginare una sua possibile applicazione in uno degli ambiti trattati dalla nuova normativa: il sistema scolastico. In virtù dei poteri “federali” attribuiti alle regioni, fingendo a noi stessi che ad amministrarci non siano dei neoliberisti, e soprattutto prendendo atto non tanto, come a Milano e dintorni, della necessità di “correre veloce”, bensì delle residue caratteristiche culturali delle popolazioni meridiane, sin dalla prima elementare e per tutti i successivi 12 anni di frequenza delle lezioni potremmo decidere di riorganizzare le scuole calabresi così: ingresso degli alunni e delle alunne alle 9,30; per tutti, ma proprio tutti gli istituti d’istruzione pubblica, chiusura obbligatoria il sabato; insegnamento istituzionalizzato della recitazione teatrale, curato da attori professionisti; astronomia applicata e, come propone il professor Franco Piperno, planetari ovunque e accordi con i comuni che per consentire l’osservazione serale delle stelle attenueranno l’illuminazione pubblica e privata in alcuni giorni; il Rap, cioè la poesia della strada, in tutte le sue possibili espressioni, diventa materia di studio istituzionale; almeno quattro ore settimanali di storia, filosofia e letteratura calabrese dall’antichità a oggi; visite guidate e incontri con persone, soprattutto ex detenuti, che possano testimoniare che la mafia è una “valanga di merda”; corsi ed esami di storia locale per i neodocenti; obbligo per ogni insegnante di frequentazione di musei, biblioteche, siti archeologici e di interesse scientifico; corsi di romaní, arbëreshe e grecanico in tutti gli istituti scolastici; cinema e teatro gratis per docenti e studenti che almeno una volta al mese dovrebbero assistere a commedie e tragedie antiche nei teatri di Locri e Sibari; in tutte le classi, dalla prima elementare, lettori di madre lingua (araba, cinese, inglese, francese e spagnolo), assunti tra i migranti residenti; eliminazione dei quiz e ripristino dei concorsi a cattedra con prova scritta e orale frontale; corsi gratuiti di specializzazione, non più a pagamento, tenuti anche da docenti in pensione, all’interno delle scuole, per tutti gli aspiranti insegnanti, in particolare per quelli di sostegno, con tirocinio nelle Rems, nel CARA di Crotone, nel carcere minorile di Catanzaro, nei reparti Pediatria e nelle associazioni che operano nei quartieri periferici e nelle baraccopoli di Calabria; riunioni e organi collegiali online; connessione wifi in tutte le scuole, a una potenza che consenta il reale utilizzo dei dispositivi (attualmente ne dispone soltanto una su 10); stage nelle nostre università su robotica applicata e comunicazione digitale. Infine, anzi in principio, tetto massimo di 15 alunni per classe e (a copertura delle classi il cui numero di conseguenza aumenterà) proposta di rientro per tutti gli insegnanti, gli amministrativi, i presidi e i collaboratori ATA meridionali, emigrati al nord, senza i quali tante scuole padane e alpine resterebbero chiuse per mancanza di personale.
Così, forse, l’autonomia non sarebbe soltanto una questione di soldi. E non perché il denaro sia un problema in sé. Maligna è solo la natura dei soldi che producono soldi, come nelle scommesse, nel prestito usurario delle banche e nei vorticosi giochi della finanza globale. Nel nuovo sistema voluto dalle destre, le regioni ricche correranno di più, le povere dovranno cavarsela con i soldini delle tasse pagate dai propri contribuenti. È questo l’obiettivo della cosiddetta “autonomia differenziata”. Siccome, secondo loro, non ci sappiamo amministrare, ci  comprimono il salvadanaio. Alla faccia del “patriottismo” e di chi sostiene di ispirarsi alla prima strofa dell’inno di Mameli. Già nel disegno di legge presentato nel marzo 2023 lo spiegava senza troppi giri di parole il ministro leghista Calderoli: “è frequente il rischio che il ral­lentamento di talune realtà colpisca anche quelle che potrebbero avere un ruolo di «traino» (…) Pertanto, con l’autonomia differenziata non si vuole dividere il Paese, né favorire Regioni che già viaggiano a velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia. L’au­spicio è che tutti aumentino la velocità: sia le aree del Paese che con l’autonomia pos­sono accelerare sia quelle che finalmente possono crescere”.
Per Calderoli, velocità fa rima con felicità. Da Napoli in giù, ma anche al nord, siamo in tanti a pensarla in modo diverso. Inoltre, il concetto astratto di “auspicio” stride con l’asserita suprema concretezza dei due paroloni utilizzati in modo ossessivo dalla signora Meloni: “dossier” e “tema”, mutuati dal gergo poliziesco e da quello scolastico, a volerci convincere che ci governerebbero persone “serie”.
E quando avremo realizzato la nostra autonomia differenziata nel sistema scolastico regionale, se lo Stato centrale manderà la polizia a reimporci le sue regole, magari stavolta l’autogestione potremmo farla tutti insieme: docenti, alunni e genitori.
Lo Stato non può essere “unitario” solo quando conviene a Calderoli. E il federalismo non può e non deve essere solo una questione di soldi e di “velocità”.
Claudio Dionesalvi
(foto Giuseppe Gaetani)

https://comune-info.net/autonomia-differenziata-e-perche-no/

 

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