Cosenza Solidale, l’antica forgia di Riace “a vita nuova restituita”

Per un istante par d’essere leggero, etereo, volatile. Come guscio di mollusco prelevato da bambinoni sulla spiaggia, i titani Carlone, Robertino, Ciccio e Vicénz mi scaraventano semivestito nel mare di Riace.

Sensazione d’infinita libertà, mista a bruzia rappresaglia: “Se al posto mio c’era Sergio Canaletta, scattava l’allarme Tsunami”. Mi lascio andare a due bracciate nel blu cristallino che da queste parti non è ancora esautorato dal grigio-marrone degli umani escrementi del turismo mangereccio. Quasi un contrappasso: le cozze dello spaghetto allo scoglio appena consumato a Caulonia sembrano volermisi resuscitare in pancia. Faccio in tempo a scongiurare l’infarto gastrico sgusciando dall’acqua e rifugiandomi in macchina. Con Maya, Cosmo e Lory ripercorriamo un cammino già intrapreso tante volte, negli ultimi anni, verso l’alto, in direzione dell’antica Riace. Ad attenderci sotto la Porta dell’Acqua troviamo il Sindaco del paese. Non quello leghista, ma il primo cittadino legittimo, privato un paio d’anni fa della sua carica dagli apparati di Stato deputati alla “giustizia” e “all’ordine pubblico”. Antico è il rituale dell’ospitalità. Il viandante è accolto col più prezioso dei doni: il racconto. Mimmo Lucano si siede paziente sotto l’arco e narra l’origine di queste antiche pietre.

Dall’umana e lenta compostezza del passato remoto, alle frenetiche e recenti peripezie. Con Mimmo ci sporgiamo dal balcone che s’affaccia sull’infinito di Calabria. E il racconto riprende.

Nel pomeriggio si forma il cerchio della democrazia. S’incontrano il villaggio globale riacese e la Cosenza Solidale, due delle storie collettive più concrete nella Calabria degli ultimi anni.

La rete Cosenza Solidale, che dal marzo scorso intorno alla Terra di Piero ha raccolto i migliori gruppi sociali e ultrà bruzi, lavora compatta al ripristino dell’antica forgia. Gli stessi ragazzi e ragazze che fino a pochi giorni fa, sfidando il contagio da coronavirus, per due mesi e mezzo hanno portato a domicilio i pasti a migliaia di famiglie cosentine indigenti, adesso si trasformano in una squadra di operai edili: puntellano muri pericolanti, trasportano bianchi mattoni, sacchi di cemento, pesanti travi in legno.

L’operoso Cicc’i llà, catanzarese di nascita e cosentino d’adozione, presiede ai lavori e consulta gli anziani riacesi. Qui arrivò nella prima metà del ‘900 un autoctono migrante, originario dei boschi di San Bruno. Si chiamava mastro Domenico e vi installò la sua officina per lavorare il ferro. Insegnò l’arte preziosa al figlio, l’ormai leggendario mastro Bruno.
Mimmo Lucano rimembra i suoni di quel vulcanico laboratorio: il tintinnio dei bìccoli dove si legavano i ciucci in attesa della ferratura, i ciappi che morbidi penetravano gli zoccoli, lo sbuffo del mantice e il martello traboccante, a ritmare battito e respiro della comunità riacese. Nel declinante ‘900 il posto di mastro Bruno fu preso dal figlio Domenico. Le pareti della fucina si rivestirono di modernità: alla sacra immagine dei santi Cosma e Damiano fecero compagnia le statuarie donne nude dei calendari erotici, immancabili icone di elettrauti e meccanici. Infine, all’inizio degli anni novanta, la forgia si spense. Serrato il suo portone, come quelli di tante altre attività, ben presto divenne un rudere. Adesso però bisogna che resusciti. Cosenza Solidale tornerà nelle prossime settimane per dare nuova vita a questo laboratorio, dove a lavori ultimati, nei progetti di Mimmo Lucano, uno stagnino di Gioiosa e un famosissimo orafo crotonese formeranno nuovi aspiranti artigiani dei metalli. Torna a pulsare l’utopia riacese, da tutto il mondo artisti, poetesse e cavalieri offrono la propria mano. Sono ancora i vicoli di un centro storico del basso Jonio calabrese, ma potrebbero essere quelli di Kobane, La Realidad, Cosenza Vecchia.

Intanto Francesco Cirillo coordina la nuova invasione dei murales.

Acqua antica e nuova s’appresta a riempire la fiumara.
Claudio Dionesalvi

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