Il Cosenza salvo. Omaggio a San Francesco. A piedi fino al santuario

Soffice e tenue è l’alba sul Tirreno. Dalla catena costiera paolana un timido sole s’incunea tra nubi di tempesta e pian piano le sovrasta. Sul ciglio della temibile SS 18, quattro football fans a piedi e incolonnati procedono in direzione sud. Destinazione: il santuario di Paola.
Clacson e pugni chiusi traboccanti dai finestrini di auto in corsa riconoscono i colori sociali e omaggiano il minicorteo. C’è ancora spazio e tempo per gli atti votivi, intorno al calcio distanziato. Anche altri storici tifosi rossoblù stanno intraprendendo il medesimo pellegrinaggio in queste ore, muovendo da mete variegate. Si rinnova il cammino catartico dei cosentini, in segno di gratitudine a San Francesco, per la salvezza conquistata dal Cosenza. In virtù del secondo miracolo sportivo in tre anni, i LUPI restano avvinghiati alla serie B. Merito di un mastro artigiano della pedata, nato e cresciuto da queste parti, il neomister cetrarese Roberto Occhiuzzi. Ma per chi crede nell’innesto tra spiritualità e pallone, o se non altro vive come “religione laica” l’evento calcistico, deve averci messo lo zampino forse anche il soprannaturale. Accadde pure nel 1988.
Un esodo bruzio valicò la Crocetta e si riversò nel santuario, quando il Cosenza riconquistò la B dopo un quarto di secolo. Tra i camminanti votivi c’era l’astro nascente Denis Bergamini, mesto, sobrio, felice eppur presago di un fato assassino. Commosse tutti zio Elio Principato che percorse in ginocchio gli ultimi metri fino all’altare.
A distanza di trent’anni rimane poco di quello scenario. Giudici sportivi ribaltano classifiche a fine campionato, fondi sovrani divorano blasonati club e si accaparrano diritti televisivi su partite contornate da tifosi virtuali. Società di gestione del risparmio costruiscono stadi privati epurati dal tifo organizzato. Fantacalcio e bet, playstation, occhi digitali, calciatori cyborg, il VAR ricaccia in gola il boato della folla mentre a bordo campo conciliaboli a transistor ratificano o annullano l’orgasmo del gol. In tempo di coronavirus il football cede sovranità all’algoritmo che già sovrano lo è di per sé. Paradossale che se a causa della pandemia il campionato si fosse concluso con una giornata d’anticipo, il Cosenza due mesi prima dato per defunto sarebbe stato catapultato in serie A.
Incurante dei moderni stravolgimenti, si rinnova il rito arcaico praticato da genti pagane che traversarono i boschi per ingraziarsi spiriti silvestri e ottenerne fertilità e favori; uomini speranzosi alla ricerca della verità presso l’oracolo di Delfi; cavalieri in visita a grotte di eremiti prima di recarsi in guerra; pellegrini alla Mecca o a Santiago di Compostela, gitani espianti, tribù penitenti. Pur nell’era del postcalcio si rigenera spontanea e irrazionale una vocazione popolare alla sacralità. Vite e lutti scorrono ritmati dal calendario di un pallone che rotolando rende partecipi di una comunità diffusa. Frammenti di memoria collettiva sull’asfalto, appesi alle bandiere, tra i petali di un fiore che con Walter, Alessandro e Daniele deponiamo in memoria di chi non è più. E avendo fatto parte di quella comunità, a tratti, ne riverbera ancora il sorriso, lungo la strada. Diceva Oscar Tabarez che “il cammino è la ricompensa”.
Claudio Dionesalvi
(le foto del cammino sono di Walter Cavalcante. Quelle del 1988 sono state fornite da Elio Principato)

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