Una centrale molto elettrica

Sono due i colori della centrale termoelettrica di Rossano, un enorme mostro metallico, che rende opaco il mar Jonio e testimonia il realismo di una certa letteratura fantascientifica, ambientata negli scenari futuri della mutazione cibernetica. I colori dominanti del paesaggio sono il Grigio delle gigantesche strutture portanti della fabbrica di elettroni e il blu delle tute degli operai, che irrompono nella mensa per la pausa pranzo. “Sei un cronista? Abbiamo tante cose da raccontarti”, gli esponenti delle rappresentanze sindacali unitarie sono lieti di fare una chiacchierata e raccontare la loro storia, che poi, in fondo, è la storia di Rossano, perché la centrale è presente da qualche decennio ed è l’unica realtà produttiva della zona.
Lo scambio di battute si protrae per pochi minuti, giusto il tempo di spiegare che nel ‘94 erano circa 1200 gli operai impiegati nei diversi settori: civile, manutenzione, meccanico, servizi e comparto produzione. Fino a qualche anno fa – spiegano Agostino Attadia e Giovambattista Tarantini del coordinamento interaziendale – i tavoli di questa mensa erano pieni di gente; adesso, come vedi, siamo rimasti in pochi. Per la precisione, il numero delle unità lavorative è sceso a quota 800, ma entro la fine del ’99 – aggiunge Vincenzo Casciaro, responsabile Cgil – almeno altri 400 addetti alla costruzione degli impianti finiranno in mezzo ad una strada. Lentamente, come in una scena tratta da un film sulla classe operaia degli anni sessanta, una processione di giovani dilaga nel salone. Molti hanno 25 o 30 anni al massimo. Questi non si sposeranno mai – dicono i loro colleghi – e non per una scelta di vita, ma perché sono consapevoli di essere in bilico. Rischiano di restare completamente senza un reddito, da un momento all’altro. E se ciò avverrà, Rossano, in pochi anni, non sarà più la città pacificata sul fronte della criminalità. Oggi, tutto sommato, è un posto tranquillo, almeno rispetto ad altri grossi centri che si trovano a pochi passi da qui. Ma se chiude la centrale, la gente sarà costretta a rubare, oppure ad emigrare, come hanno fatto tanti altri, che il posto di lavoro lo hanno già perso. E la colpa non è tutta di mamma Enel.
È il decreto Bersani il maggior indiziato. Non è ancora legge, ma quando lo sarà, non esisterà più il monopolio dell’energia elettrica. Entro quattro anni, la metà della produzione se la papperanno i privati. Una fetta consistente, pari a 15mila mega watt annui, proviene da questo recinto grigio in riva al mar Jonio. La beffa, per Rossano e i suoi cittadini, consiste nel fatto che il decreto Bersani è il risultato italiano di una linea voluta dall’unione europea. I giganti dell’Ue, ostili ad ogni forma di libera circolazione degli esseri umani, hanno imposto, però, la liberalizzazione della produzione di elettricità. Come dire: l’Europa doveva essere garanzia di sviluppo ed invece si sta rivelando un boomerang per le aree geografiche più periferiche. Il dramma della centrale termoelettrica consiste nei costi di produzione. La media nazionale è 56 lire al Kilowatt, ma a Rossano sono necessarie 86 lire. I segnali di smantellamento non mancano: negli ultimi tempi, prima gli addetti alla vigilanza e poi quelli dei servizi di manutenzione e della mensa, sono entrati in stato di agitazione. I soldini stanno finendo, mormora un operaio con un piatto di pasta fumante sotto il muso e tra poco termineranno pure quelli disponibili per gli altri settori. Ne siamo certi. Per questo motivo, nei giorni scorsi abbiamo proclamato tre giorni di sciopero. Il capo della produzione ha convocato i nostri rappresentanti per il 4 febbraio a Brindisi, ma a quel tavolo non ci sarà l’amministrazione comunale di Rossano, perché non è stata invitata.
È evidente che i vertici dell’Enel vogliono estrometterla, e questo fatto mi puzza. La ricetta per uscire dalla crisi ed evitare uno smantellamento, che avrebbe effetti biblici sul tessuto sociale rossanese, è contenuta in quello che i sindacalisti chiamano “riconversione industriale, per trasformare la centrale in un insediamento strategico. In pratica – spiega un operaio – gli impianti Denox, che oggi servono per eliminare le sostanze nocive derivanti dalla combustione dell’olio utilizzato per produrre energia elettrica, dovrebbero essere sostituiti con il Desox che farebbe diminuire i costi e ridurrebbe con maggior efficacia i rischi di effetti nocivi sugli abitanti. Da queste parti, l’inquinamento è una realtà e l’amministrazione comunale ha già commissionato una ricerca sull’impatto ambientale”. Secondo gli addetti ai lavori, l’intera operazione di riconversione industriale comporterebbe una spesa di 300 miliardi, ma garantirebbe alla struttura un discreto livello di competitività. Si verificherebbe, infatti, una notevole riduzione dei costi di produzione. L’allarme, tra le maestranze, è scattato quando in Calabria si sono affacciati nuovi potenziali concorrenti. I lavoratori puntano il dito sul gruppo Marcegaglia, che sta penetrando nella zona di Cutro e in futuro potrebbe assorbire una fetta di mercato. Anche di questo si discuterà lunedì prossimo, nell’assemblea del coordinamento, alla quale parteciperà l’intero consiglio comunale di Rossano. Ma la scadenza più importante rimane quella del quattro febbraio. Se l’Enel non darà risposte precise, la situazione diventerà veramente elettrica. La sirena suona nella centrale. Sullo sfondo, si agitano le onde di un mare acido, violentato dal divieto di balneazione.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 30 gennaio 1999

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