San Ferdinando, una new town al posto della favela “bomba”

Oltre 300 persone ammassate in spazi stretti e dalle condizioni sanitarie inesistenti. In 6, anche 7 per tenda. L’inferno di San Ferdinando brucia ormai da 12 anni. Un ghetto senza sicurezza, senza regole, senza igiene. Dove ognuno entra per pontificare e poi finita la passerella va via. Mentre la baraccopoli resta lì. Come un pugno sullo stomaco. Appena entri vedi solo spazzatura ammassata. Montagne di rifiuti che ti introducono nel girone dantesco dei rifiuti umani. Il servizio della raccolta si è interrotto da 2 anni ormai. E la favela si è trasformata in una vera discarica.
SENZA ACQUA né luce. I bracieri e le stufe improvvisate danno l’idea della precarietà e del pericolo immanente. L’ultimo incendio c’è stato a Capodanno. Solo il caso ha evitato l’ennesimo rogo mortale. Nel 2018 per un fornello acceso era morto Suruwa Jaithe, 18 anni. Veniva dal Gambia, era in Italia da un anno. La rete elettrica non regge il fabbisogno di centinaia di persone. Stessa cosa per la rete fognaria. Ci sono continui black out, ci si riscalda come si può. I moduli igienici sono intasati. All’improvviso la tendopoli piomba nell’inchiostro nero della sera, nell’odore acre della spazzatura e dei liquami. I migranti, quasi tutti sui 30 anni, che arrivano dal Mali, dal Gambia, da Ghana, dal Senegal e dalla Costa d’Avorio, attendono un nuovo giorno d’inferno. Il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, è venuto pochi giorni fa e ha pronunciato la parolina magica: sgombero. Come se bastasse mettere sulla via e nel fango centinaia di lavoratori per risolvere il problema. L’ultimo apprendista stregone era stato Matteo Salvini.
A bordo della sua ruspa attraversò la distesa della zona industriale di San Ferdinando per radere al suolo la tendopoli. Ma in pochi credevano che non fosse il solito spot elettorale. In effetti, fu così. L’ex ministro degli Interni (a braccetto con l’allora prefetto Michele di Bari, dimissionario capo dipartimento immigrazione) andò via e in breve tempo i migranti ritornarono ad occupare gli spazi.
IL FILM è sempre uguale a queste latitudini. Da 12 anni, da quando nacque all’indomani della rivolta di Rosarno la tendo-baraccopoli di San Ferdinando, la musica è sempre la stessa. Da allora è come stare davanti a una lavatrice e vedere il cestello che gira. Prima si forma una favela, poi arriva lo sgombero, allora si crea una tendopoli che si trasforma in baraccopoli. Poi ancora ruspe e sgomberi.
LA SITUAZIONE resta “esplosiva”. E la bomba San Ferdinando è pronta a riesplodere. Il refrain resta sempre quello. «Smantelleremo la tendopoli», ha ripetuto il prefetto. Nella struttura, in cui sono state realizzate anche alcune baracche in legno, vivono attualmente, secondo le stesse stime del Viminale, quasi 350 migranti rispetto a una capienza massima di 200 persone.«Aspettiamo – ha aggiunto Mariani – che la Regione metta a disposizione i fondi per varare un progetto di accoglienza e di residenza basato sull’utilizzo di alcuni beni confiscati. Strutture edili da ripristinare e trasformare in foresterie».
L’IDEA È quella di creare per la prima volta in Italia una new town per migranti. I fondi ci sarebbero pure. Ma come spesso avviene a queste latitudini sono spesi poco e male. A pochi metri dalla tendopoli incontriamo Maurizio Alfano, scrittore, ricercatore, attivista sociale, e Mariafrancesca D’Agostino, docente dell’università della Calabria. Ombre e dubbi si impongono sulle modalità di attuazione del progetto «Su.Pre.Eme» che a Taurianova prevede la realizzazione di un borgo sociale destinato ai migranti, su terreni confiscati alla ‘ndrangheta. Un milione e 300 mila euro provenienti dal fondo Amif per la costruzione di un sistema abitativo che alcune associazioni impegnate nell’accoglienza considerano «concentrazionario ed emarginante», vista la distanza dal centro urbano (oltre 8 km), nonché l’assenza di trasporto pubblico locale e di risorse poi necessarie alla gestione successiva.

«È destinato – denuncia Alfano – a diventare come gli insediamenti di Rosarno e San Ferdinando, un nuovo campo informale di riconfinamento sociale, privo di ogni servizio. E stavolta non in conseguenza di una scelta politica di un’amministrazione comunale leghista. No, nasce ancora una volta per decisione di un’ennesima commissione prefettizia che adopera poteri straordinari che anziché essere rivolti al superamento degli ostacoli (appositamente creati), alla fruizione di 36 appartamenti ad uso foresteria temporanea per 140 braccianti migranti realizzati a Rosarno e mai resi disponibili, destina ulteriori fondi pubblici a un’opera ghettizzante. Caratteristiche strutturali e funzionali queste, che contrastano con le norme etiche ed i principi contabili della stessa Commissione Ue, titolare delle risorse».
A PARERE della sociologa D’Agostino, nella Piana di Gioia Tauro «troviamo forme di intervento che concorrono a pieno titolo a questi processi di encampent e dinamiche partecipative che, invece, agiscono prevalentemente sul piano politico, per chiedere soluzioni radicalmente differenti». In attesa degli sviluppi abitativi e del nuovo atteso sgombero, la stagione della raccolta procede senza soste come ogni anno. Di nuovo c’è il freddo glaciale e Omicron che anche qui si è diffuso. L’anno scorso la favela fu dichiarata zona rossa. Ma ormai nel girone dei reietti di San Ferdinando si prova a convivere anche con il virus.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
Il manifesto, 29 gennaio 2022

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