Il viaggio di Assad

È scampato alla strage di Cutro, il 26 febbraio. Pochi giorni fa ha raggiunto i suoi cari in Finlandia. Quella di Assad non è una storia frequente. In Calabria questo profugo somalo diciassettenne ha incontrato la comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza. Che lo ha raccolto a poca distanza dalla spiaggia di Steccato per dargli protezione all’interno di Lunarossa, un programma di accoglienza per ragazzini sbarcati da soli sulle coste italiane.
IL RAGAZZO racconta al manifesto la sua odissea. «Quando capii di essere sopravvissuto, stavo male, avevo molte ferite infette, che mi ero procurato durante il naufragio. Avvertivo forti dolori in diverse parti del corpo. Per diverse notti non sono riuscito a dormire». La psicoterapeuta di Lunarossa conferma: «Manifestava i sintomi di un disturbo post traumatico da stress, flashback ripetuti dell’evento, l’ansia e la depressione erano aggravate dalla mancanza di notizie sul suo amico, il ’cugino’ che aveva intrapreso il viaggio con lui. Dopo 40 giorni ne fu ritrovato il corpo a qualche chilometro di distanza dal naufragio. Oltre al senso di colpa per essersi salvato, Assad sentiva la responsabilità del dover confermare alla famiglia del ragazzo che il corpo era stato trovato e gli era stata data una degna sepoltura».
SOLTANTO DOPO averla ottenuta, Assad ha ritrovato un po’ di sollievo, accresciuto dalla speranza di raggiungere la Finlandia. Questo infatti era il suo sogno, da quando decise di lasciare la Somalia: raggiungere il fratello maggiore, da tempo emigrato in Scandinavia con la sorellina più piccola. «Sono gli unici membri del suo nucleo familiare, rimasti in vita. I genitori e gli altri due fratelli sono morti sotto i bombardamenti a Mogadiscio», ci spiega Anna Bambara.
IL SUO VIAGGIO era iniziato molto tempo prima di naufragare in Calabria. Aveva versato ai trafficanti i soldi rubati ad una zia di cui era stato ospite dopo la morte dei genitori. L’accordo con il fratello maggiore era di attendere che avrebbe chiesto il ricongiungimento anche per lui, ma Assad decise di partire senza parlarne con nessuno. Giunto in Turchia, vi è rimasto per un anno ed è sopravvissuto all’ultimo terremoto che ha colpito il paese. Lì ha incontrato un ragazzo del suo stesso villaggio e che chiamava «cugino». Con lui hanno progettato il viaggio per attraversare il mare e raggiungere l’Italia. Vicini alla costa, il 26 febbraio, hanno inviato ai rispettivi familiari i video del loro arrivo. In questi filmati si nota il loro aspetto gioioso e felice. Assad rievoca quei momenti terribili: «A due passi dalla terraferma, la barca si è incagliata sulla ’secca’ e l’acqua ha iniziato ad entrare. Sentivo urla, grida. Quando il mare ci bagnava, era gelato. Mio cugino cercava di tenere chiuse le finestre per bloccare il flusso d’acqua, per evitare che i bambini e le loro mamme si bagnassero e morissero di freddo. Io invece scappai via dalla stiva e urlai agli altri di fare lo stesso, di salire al piano di sopra. La barca si sfasciò e finimmo in mare. Persi di vista mio cugino e un’amica che viaggiava con noi. Mentre cercavo di stare a galla, la gente si aggrappava a me per tentare di salvarsi, ma non riuscivano ad attaccarsi perché i vestiti erano scivolosi e quindi iniziarono a tirarmi le scarpe, le calze, i pantaloni. Trovai un pezzo di legno al quale mi aggrappai e dopo non so quanto tempo i miei piedi toccarono la terraferma».
QUANDO CAPÌ di essere salvo, si accorse di essere privo di vestiti, pieno di tagli, sanguinante: «Intorno a me non c’era nessuno, vedevo solo alcune lucine che immediatamente raggiunsi. Il freddo che sentivo nel corpo è indescrivibile. Vidi altri sopravvissuti, tra cui la mia amica somala, anche lei tremante. Ci abbracciammo, creammo calore con il fiato e ad un certo punto arrivarono tanti italiani, ci buttarono addosso delle coperte, iniziammo a sentire un po’ di sollievo». Assad fu portato nel settore del Centro accoglienza richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto destinato all’accoglienza di adulti, perché al momento dello sbarco era stato dichiarato maggiorenne. Quando si rese conto di questo errore, in un inglese stentato cercò di correggere le proprie generalità. In quanto minore, il ragazzo aveva diritto ad essere inserito nel sistema per minori stranieri non accompagnati. Sono note le indegne condizioni in cui furono ricoverati i profughi all’interno del Sant’Anna di Isola. Gli operatori di Lunarossa ricordano che il referente di Save the Children li ha accompagnati al padiglione dove sono stati accolti i superstiti del naufragio: «Abbiamo trovato il giovane seduto sul letto, abbracciato stretto ad una ragazza somala, anche lei superstite – continua Bambara – I due si facevano forza a vicenda. Erano disorientati. Con molta fatica abbiamo convinto la ragazza a lasciare andare Assad, spiegando che il giovane si sarebbe potuto fidare di noi». Nei giorni successivi, le autorità hanno accordato a Lunarossa il permesso di ospitare Assad a Lamezia.
A CUTRO SONO tornati alcune settimane dopo, per il riconoscimento della salma del cugino. È stato straziante per Assad. «E così – prosegue Bambara – ci ha chiesto di accompagnarlo sul luogo del naufragio. Abbiamo trovato croci, fiori, vestiti, pupazzetti, biberon, scarpette da bambino, resti di imbarcazione ovunque. All’improvviso Assad si è chinato a prendere in mano una scarpa. Ce l’ha mostrata con incredulità, era molto semplice, blu, con la suola bianca, il laccio ancora attaccato». «Era una delle mie scarpe – rammenta Assad – le avevo comprate in Turchia. Mi sono chiesto come mai fosse così rovinata. L’avevo comprata nuova, prima di partire!». Pochi giorni fa, con l’unica scarpa superstite infilata nello zaino, si è concluso in Finlandia, tra le braccia dei suoi cari, il lungo naufragio di Assad. Lieto fine il suo, evento raro per i ragazzi come lui. Traboccano di lacrime gli occhi di Anna e di tutti gli operatori e le operatrici di Lunarossa. «Di fronte all’ennesima strage del Mediterraneo – conclude Bambara – Progetto Sud ha sentito il desiderio di essere presente e vicino ai familiari ed alle vittime. Lunarossa è figlia di Progetto Sud ed è nata con il cuore prima che con la mente, ascoltando i racconti di tanti migranti che nel buio del mare aperto, su un guscio di noce, sballottati dalle onde, vedevano un’unica luce: quella della luna. Lunarossa è diventata la nuova casa per più di 150 ragazzini che, con il nostro sostegno, continuano a vedere una luce anche nel buio più profondo dei ricordi dolorosi di una vita che fu e di un’altra che qui comincia». Otto mesi sono trascorsi dalla strage di Cutro. Il governo Meloni ha varato decreti liberticidi e stretto le viti sui minori non accompagnati come Assad. Molti han dimenticato quel 26 febbraio. Gli operatori di Progetto sud e il giovane Odisseo somalo non di certo.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

Il manifesto, 8 novembre 2023

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *