«La mia vicenda in un libro»

ADESSO voglio correre a baciarli. Perché io, le ultime due settimane, sono stato in Paradiso. L’accoglienza trionfale degli ultrà allo svincolo di Cosenza sud, quel corteo che entrerà nella storia, il benvenuto del quartiere, l’abbraccio del movimento e di parenti, colleghi, amici. La stretta di mano di Monsignor Agostino nel suo studio, il calore dell’Oasi di Padre Fedele; poi il pianto e il sorriso degli alunni in una scuola impazzita dalla gioia. Io ero in Paradiso da dieci giorni. Ma le mie compagne ed i compagni, no! Li avevano trattenuti all’inferno, nella nebulosa degli orrori. E come facevo a dormire la notte?
Oggi finalmente posso baciare i miei fratelli e le sorelle. Di Francesco Cirillo, sono stato sempre un ammiratore, oltre che un compagno. Mi piace quel suo modo di inchiodare i pensieri sul muro della coscienza, senza fare sconti alla realtà. Antonino è uno degli uomini più leali ed intelligenti che abbia conosciuto. Con Annetta abbiamo frequentato l’asilo e la “primina” insieme. Carattere impetuoso. Ogni volta che la rivedo, indignata, stringere i pugni, mi intenerisco e ritorno bambino. Con Michele, ho fatto centinaia di chilometri gomito a gomito. “Clà, nun vi scudat’i mia”. La sua voce strozzata, dal buio di una cella, mentre uscivo dal carcere, mi è rimbalzata in testa fino a ieri mattina. Lidia ha due occhi che sembrano fanali. Sorriso napoletano. Più vivace e pungente di Francesco. In tutta la vita, ci saremo incrociati sette, otto volte. M’ha sempre trattato da fratello. E come faccio a spiegare a chi mi spia, che cosa significhi “sorella”?! Forse, non ci riuscirebbe nemmeno Giancarlo, che con il suo linguaggio penetrante, sarebbe capace persino di farsi capire da un bestia. Mattia non lo scopro io. È una delle menti più lucide e colte dei nostri giorni.
Gli altri compagni, non li conoscevo prima di questa drammatica esperienza. È ovvio, tuttavia, che ogni cellula del mio corpo ha vibrato con loro. Come quando io e Gianfranco, dietro quelle sbarre, scoppiavano a ridere per le nostre disgrazie. Sono stato fortunato. Se qualcuno mi avesse detto: “È stato deciso che devi andare in galera. Con chi vorresti condividere la cella?. Avrei risposto subito: “Gianfranco!”
Francesco Caruso, invece, lo avevo visto solo in Tv. Ho stretto per la prima volta la sua mano passeggiando all’aria del carcere. “Nu guagliuni d’oro”. Non ha perso la grinta. Si è messo subito a scrivere. Di Pierpaolo, un compagno tarantino, ricorderò lo sguardo nella saletta ricreativa del carcere. È uno che si intende di computer. Mi ha raccontato che il papà era un operaio dell’Ilva, morto per un incidente sul lavoro, come milioni di altri massacrati dall’assenza di misure di sicurezza. Ogni volta che pensavo a Pierpaolo, mi veniva da piangere. Io, lui e gli altri abbiamo in comune una cosa: siamo operai sociali della comunicazione, giornalisti, insegnanti, individui socialmente impegnati. Per questo motivo, qualcuno ci teneva nel mirino? È l’unico dubbio che voglio sollevare. Dell’intera vicenda, nella sua complessità giuridica e politica, è ancora presto per parlare. Affiderò ad un libro, che sto già scrivendo, il delicato compito di affondare il bisturi dell’analisi su quanto è accaduto. Racconterò i corpi, l’indignazione ed i sentimenti.
Adesso preferisco godermi questa felicità. Con l’amaro in bocca, però, perché ripenso a Carlo Giuliani ed all’ingiustizia subita dalla sua famiglia. A poche ore di distanza, una notizia brutta e l’altra buona. A Cosenza si dice: “Na botta aru circhiu e l’atra aru timbagnu”. Carlo è morto perché voleva difendere migliaia di persone da una brutale aggressione. Sono grato a sua madre, che lo ha messo al mondo. Per lui e tanti altri, rimasti supini sull’asfalto, dobbiamo continuare a lottare. Per la nostra Calabria, e per quanti ci hanno testimoniato solidarietà ed amore.
La prima battaglia è finita. Ora abbiamo davanti un lungo processo. E se dopo la sentenza a qualcuno venisse in mentre di compiere un atto di civiltà, e chiederci scusa… beh la risposta sarà sincera e secca: “Prego, ma si figuri, sono io che la ringrazio”.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 4 dicembre 2002

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *