La mattinata del prof.

Luciano è un collega di Lettere. È cosentino. Insegna in un paesino sperduto nella provincia di Vibo, un piccolo centro abitato da gente onesta e laboriosa, ma tormentato da un’infinita guerra di mafia. A Luciano vogliono quasi tutti bene in paese, perché lui vuol bene ai suoi alunni.
Mercoledì mattina, come sempre, impiega più di un’ora per raggiungere la scuola. Si sveglia alle 6 e viaggia sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, dribblando deviazioni e tir. All’arrivo, trova il vicepreside e i collaboratori con le facce scure, che l’attendono sul portone d’ingresso. Alcuni dei suoi alunni si sono picchiati poco prima di entrare in classe. Ad avere la peggio è stato Dimitri, un ragazzo rumeno. È uscito dalla scazzottata con un occhio viola. Giovanni, un alunno della II C, gli ha sferrato un pugno proprio sotto lo zigomo. Per il professor Luciano, si tratta del primo vero “caffè” della mattinata. Non sopporta l’idea che proprio Dimitri sia stato picchiato. Teme che si tratti di razzismo. Chiama tutti i protagonisti della rissa, li invita con gesti bruschi a formare un cerchio in corridoio, lontani dalla vista del preside che, se li vede e scopre l’accaduto, li sospende. Ed esplode la prima sfuriata: “Che cavolo vi insegniamo a scuola e che ci andate a fare al catechismo? Vi parliamo di legalità dalla mattina alla sera, vi fate il segno della croce tre volte al giorno, ma siete tutti razzisti nelle ossa. Vergogna!”. Urla talmente forte che due di loro scoppiano a piangere. E continua a gridare: “C’è un motivo? C’è un fottutissimo motivo che vi porta ad alzare sempre le mani tra di voi? No! E allora, porca miseria, guardatevi negli occhi. Siete forse cani rabbiosi? O siete delle persone? Non vi chiedo di stringervi la mano. Non vi educo all’ipocrisia. Ma la prossima volta che succede, chiamo i vostri genitori e vi faccio prendere a schiaffi davanti a tutta la scuola. Adesso tornate in aula. Vengo a chiamarvi alla ricreazione, così finite di chiarirvi davanti a me”.
Luciano li riaccompagna nelle rispettive aule e finalmente entra in classe. In programma c’è la verifica di storia sui caratteri generali del medioevo. Interroga i ragazzi. Metà di loro ha studiato. L’altra metà è ancora senza libro, senza genitori, senza testa. Luciano scoppia: “Se c’è un argomento che dovreste studiare, è il medioevo. Così capite meglio il mondo in cui viviamo. Perché in Calabria il medioevo non è mai finito”. Per fortuna Giuseppe e pochi altri gli danno soddisfazione. Hanno studiato. Ma sono in pochi. E non basta. “Chi di voi non ha ancora acquistato il libro? Vi faccio fare le fotocopie in segreteria”. Gli fanno notare che la fotocopiatrice è rotta. Luciano sbuffa: “Va bene, ve le faccio io le fotocopie del libro, a spese mie, purché studiate”.
Alle 10,25 suona la ricreazione. Il prof. avrebbe un buco nell’orario. Ma se si vuole essere rispettati dagli alunni, bisogna sempre mantenere la parola. Raduna la comitiva della rissa delle 8, e porta tutti al bar a due passi dalla scuola. “Vi offro una bibita o un succo di frutta. Niente caffè. Siete troppo giovani ed elettrici. Sul bancone di questo bar lasciamo tutto il nervosismo. Il mio e il vostro”. I ragazzi appaiono più distesi. Giovanni e Dimitri si stringono la mano, spontaneamente. Trascorsi dieci minuti, riaccompagna tutti in classe, ma sulla porta dell’aula incontra la collega di inglese che è disperata perché al cambio d’ora non ha trovato in classe gli alunni che Luciano ha portato al bar. Effettivamente, lui ha dimenticato di avvisarla. Si scusa, perché nessun regolamento di nessuna scuola consente ad un prof. di uscire dall’edificio per portare i ragazzi al bar.
Ma non c’è tempo. Bisogna andare all’Asl, con Emilia, la collega di sostegno, per accompagnare Ernesto, un altro alunno, dalla psicologa. Il ragazzo manifesta pesante ritardo nell’apprendimento, però non se ne conosce la causa. Soltanto la dottoressa dell’Asl può scoprirla. Luciano non sarebbe in servizio in quest’ora, ma come si fa a tirarsi indietro? Prima di uscire, il prof. fa in tempo a fare due cosette.
Telefona alla mamma di Maurizio, un ragazzo che non viene a scuola da una settimana.
E come spesso capita negli ultimi mesi, gli tocca pure mettere in fuga Giorgio, il vecchio pervertito che tutte le mattine gironzola davanti la scuola sussurrando frasi irripetibili nelle orecchie dei ragazzi. Non c’è alcun controllo all’esterno dell’edificio. Il Comune non si degna di mandare un vigile urbano.
Giunti all’Asl, bisogna fare anticamera. E in un attimo sono già le 11,30. Luciano deve rientrare a scuola per fare lezione di storia pure in III C. Lascia la collega ed Ernesto. Tornerà a recuperarli appena avranno terminato il colloquio con la psicologa. E si precipita verso la scuola. Quando arriva, trova l’insegnante di religione sull’orlo di una crisi isterica: “Non riesco ad entrare in questa classe. Sono terribili”. Luciano rimprovera i ragazzi. Loro lo osservano in silenzio, fino a quando uno si alza, e col dito puntato: “Prof, sai qual è la differenza tra te e certi tuoi colleghi? Tu li difendi, invece loro, quando non ci sei, ci parlano male di te”. In quel momento qualcuno bussa alla porta. È il vicepreside. Anche lui richiama gli alunni per il comportamento scorretto tenuto nei confronti dell’insegnante di religione e poi, osservando Luciano, spara una sentenza che ha il sapore di un’ammonizione: “Questa classe è irriconoscibile”… Siccome Luciano è in servizio in questa terza da settembre, la frase suona come una condanna verso il suo metodo d’insegnamento troppo elastico. Più tardi, farà in tempo a dare un’occhiata al registro di classe dell’anno precedente. Sollievo! Vi sono impresse valanghe di rapporti disciplinari, sospensioni e note. Quindi non è lui la causa del peggioramento.
Al contrario, i ragazzi si dimostrano molto corretti con Luciano. Addirittura, hanno studiato il capitolo di storia spiegato una settimana prima. E seguono la lezione frontale in religioso silenzio, per 50 minuti. Poi gli chiedono il permesso di trascorrere l’ultima ora in cortile, e lui acconsente, ma deve prima correre a recuperare la collega e il ragazzo lasciati all’Asl. Affida la classe ad una collega molto rispettata dai ragazzi, nonostante la sua giovane età. È incredibile come la medesima classe possa trasformarsi, in pochi istanti, davanti a due diversi insegnanti. Luciano va e viene. Al rientro, una collega gli fa notare che Alfonso, un ragazzo di terza, proveniente da una famiglia indigente, è senza libro di storia. Luciano sgancia 8 euro. Rientra in III C e nel boato generale invita i ragazzi ad andare nel cortile esterno. È uno spazio disastrato, pieno di cordoli in cemento, che si trasforma in una palude alla prima pioggia. Ma è sempre meglio del chiuso di un’aula.
I ragazzi giocano. Tutto scorre liscio fino alle 13.25, quando mancano cinque minuti alla fine della mattinata. Luciano prega i “guagliuni” di avvicinarsi al cancello di uscita. Loro ubbidiscono, ma passando davanti la finestra della I D, formano un capannello ed osservano la classe che è già pronta con lo zaino in spalla per uscire dall’aula.
È in quell’istante che il papà di una delle ragazzine che frequentano la I D si avvicina a Luciano. Più che un genitore, sembra l’arbitro di una partita di calcio: “Lei è il professore di quei ragazzi? Non vede che i suoi alunni stanno disturbando la lezione nella classe di mia figlia? Perché non interviene?”. Luciano gli fa notare che sono le 13.29 e manca un minuto all’uscita. Pochi secondi di tensione, la campana suona. Il genitore recupera sua figlia e gira le spalle indignato. Mentre se ne va, prendendo per mano la ragazzina, sussurra qualcosa. Luciano non è sicuro, non può giurarci, ma l’intuito gli dice che quel signore sta mormorando qualcosa, del tipo: “Poi dicono che ha fatto male la Gelmini a mandarli tutti a casa, ‘sti…”.
In quell’istante davanti agli occhi di Luciano passano le facce dei colleghi che l’anno scorso viaggiavano con lui, e che adesso sono a casa, disoccupati. Rivede tutta la mattinata che s’è appena conclusa. E l’autostrada A3 che deve ripercorrere. E gli viene una voglia pazzesca di prendere la rincorsa e sferrare un bel calcio nel sedere a quel signore.
Ma in un lampo di lucidità, ricorda di essere un educatore. Si trattiene. Osserva impietosito la ragazzina che se ne va con la manina nella mano del suo papà. Così vanno le cose. Ci sono genitori che purtroppo generalizzano. E nel mondo esistono pure tanti genitali che fanno i genitori.
Luciano abbassa lo sguardo verso il basso ventre. Avverte una fitta all’altezza della prostata. In tutta la mattinata, sbattuto tra una cosa e l’altra, ha dimenticato di andare al cesso.
Ma nell’era della Gelmini, le cose vanno così. Se vuoi fare veramente il “mestiere” dell’insegnante, devi imparare a trattenere la pipì.
Claudio Dionesalvi
Appunti di Sopravvivenza, 12 ottobre 2009
Nota del lunedì
Radio Ciroma 105,700
www.ciroma.org

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *