Quella baraccopoli in riva al mare

Da sempre sulla spiaggia di Schiavonea, sospinti dalle maree s’adagiano ossi di seppia e tronchi d’albero levigati dalle onde. Da qualche settimana, tra carcasse e relitti, vivono anche esseri umani. È forse l’unico caso in Italia di baraccopoli in riva al mare. Nella piccola frazione a ridosso del porto più improbabile di Calabria, quello di Corigliano in provincia di Cosenza, in tende improvvisate vivono migranti marocchini e polacchi che lavorano nella piana di Sibari. Per 12 ore al giorno, raccolgono arance, clementine, pesche e olive. Esistono casi di imprenditori onesti che assumono gli stranieri con regolare contratto. A volte addirittura li ospitano in condizioni più che dignitose. Soprattutto nella fascia dei paesi jonici settentrionali, da Villapiana in su, numerose famiglie nordafricane nel corso del tempo hanno trovato piena integrazione. Ma sono l’eccezione. La regola è la barbarie.
Agli incroci delle vie interpoderali tra la SS 106 e l’autostrada, tutte le mattine, i raccoglitori di agrumi sono reclutati da feroci caporali quasi sempre al servizio della ‘ndrangheta che smercia carne migrante sotto forma di bracciantato, prostituzione e, da almeno un paio d’anni, manovalanza criminale. Il salario per il lavoro nei campi non supera le 25 euro giornaliere. E qui è difficile che scoppi una rivolta come quella di Rosarno. I migranti sono disseminati su un territorio molto vasto, stipati dentro casolari sperduti, in cui abitano pagando affitti carissimi. A Schiavonea, nella Calabria dell’era del centrodestra, s’inaugura una nuova politica di “accoglienza”. In alternativa all’annegamento, al respingimento o alla carcerazione, ecco lo spiaggiamento perpetuo.
Uomini e donne costretti a vivere accampati in riva al mare! A distanza di un paio d’anni, è questo uno degli effetti più tangibili della linea dura adottata all’epoca dal comune di Corigliano, che intervenne con le ruspe contro alcuni insediamenti spontanei di lavoratori stagionali, etichettati come clandestini. Per una sorta di contrappasso, lo stesso comune poi è stato commissariato a causa di infiltrazioni mafiose. Ma la tragedia umana e sociale dei migranti è rimasta tutta sulle spalle di chi la vive, e delle poche associazioni impegnate a tamponare una problematica sociale di enormi dimensioni. Casa La Rocca è una struttura della vicina Cassano allo Ionio, che aderisce al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Secondo il suo osservatorio, “gli stranieri presenti nelle zone di produzione agrumaria sono, per una stagione di media produzione, circa 12mila”. Infortuni sul lavoro e morti bianche sono frequenti. A Corigliano, molto attiva sul terreno dell’accoglienza è sempre stata l’associazione Torre del Cupo. E per dare un tetto temporaneo agli uomini e alle donne della baraccopoli formatasi sulla spiaggia, negli ultimi giorni si sono mossi i volontari delle strutture cattoliche di base. Mentre si prospetta l’ipotesi di ospitarli in edifici sequestrati alla ‘ndrangheta, alcuni migranti hanno trovato riparo nella canonica di una vicina chiesa. Altri, come Mohamed, marocchino di Casablanca, affidano tutto a Dio. Rintanato nella propria tenda di stracci e cartoni, preferisce pregare. Dalla spiaggia di Schiavonea, forse, la Mecca gli appare meno lontana.
Claudio Dionesalvi, Corigliano Calabro (Cosenza)
il manifesto, 12 gennaio 2012

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