Dopo il pathos degli arresti lavoriamo per gli immigrati

Claudio Dionesalvi, insegnante e scrittore arrestato con l’accusa di sovversione nei confronti dello Stato. Claudio, tanti a chiedere la libertà degli accusati di sovversione, tanti in piazza, memorie nel tuo libro Mammagialla. E ora?
«Parlare, adesso, solo di difesa sarebbe un atteggiamento autorappresentativo. Abbiamo riscosso simpatia perché i cosentini si sono accorti che c’era un’ingiustizia alla quale riparare. Ora servono progetti concreti».
Dov’è finita tutta l’energia della manifestazione di Novembre?
«Si sono vissuti fatti significativi, episodi estemporanei, senza politica perché era alto il pathos. Adesso continua ad esistere una rete di persone che lavora concretamente e quotidianamente. Tante Isole che si stanno sviluppando. Questo è il movimento, tentativi diretti di modificare la realtà come quelli del Gramna, della Kasba, Filo rosso, Radio Ciroma».
Abiti pratici, dunque. E quelli politici?
    «Racchiudere entro categorie politiche una corrente molto più ampia sarebbe un errore, sicuramente non paragonabile alla militanza di sinistra degli anni ’70. Sono risposte e reazioni ad un mondo che non va, chiediamo che l’acqua e l’aria non si tocchino, che non si sfruttino i bambini nel lavoro e lo si urla ognuno in base alla propria cultura. Sì, ci sono i black block che vanno visti come espressione di rabbia, il loro è un rituale di rappresentanza che si differenzia dalla violenza. La vera violenza nasce dalle decisioni dei potenti, una violenza più profonda e distruttiva».
No global, una volontà di andare contro qualcosa di cui fai parte, un po’ drammatico no?
  «C’è un senso di sussunzione, sei immerso nella contraddizione che ha carattere avvolgente, ecco che si deve entrare nelle fratture e denunciare. La constatazione di certi meccanismi basta per incazzarsi ancora di più».
Come combattere allora una condizione universale?
  «Il luogo in cui si interviene è il locale, la propria realtà».
Quali le proposte possibili, anche in vista di un cantiere meridionale già avviato?
  «Il cantiere è stato un incontro tra intellettuali con pochi contatti con chi fa cooperazione attiva. Le richieste, le idee da proporre devono rispondere ai bisogni della gente soprattutto di quella fetta di povertà alla quale necessitano scolarizzazione, cultura e aiuto nella difesa dei propri diritti. Gli amministratori devono andare tra le persone. Giacomo Mancini lo fece e fu un esempio di vero socialismo come l’idea di cooperative intese sotto forma di reddito di cittadinanza che se avesse tenuto fede ai principi iniziali che ne hanno inspirato la costituzione, avrebbe rappresentato un’azione politica».
Primi passi da fare, dove andrai?
  «Ho ripreso ad occuparmi di comunicazione, attività svolta insieme ad altri compagni. Vogliamo attivare un pacchetto di servizi informatici da trasmettere in etere e online per immigrati. Continuo con le presentazioni del mio libro, vado preferibilmente nei paesi della provincia di Cosenza dai quali abbiamo avuto manifestazioni di solidarietà, luoghi in cui tanti giovani stanno crescendo con l’intento di cambiare l’andamento della politica. Non mancherò ai campeggi organizzati in vista dell’opposizione contro la costituzione del ponte dello stretto, e alla settima edizione dei mondiali antirazzisti».
Laura De Franco
La Provincia, 23 giugno 2003

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