«Cosenza è la città degli eretici ma la vogliono normalizzare»

Dice Claudio che sta trovando un’«accoglienza commovente» in questi giorni che va in giro per i paesi a promuovere il corteo del 2 febbraio. Dice che verrà molta gente dalla Provincia e dal Sud. «L’incognita è la città, frastornata dalle vicende degli ultimi anni». Dice Claudio che, se si tolgono le pagine rosa sprecate sulla storia d’amore tra la sindaca Eva Catizone e il segretario locale Ds, Nicola Adamo, Cosenza è andata sulle cronache nazionali solo per i veleni e gli scandali. «Il ciclone De Magistris tocca anche la borghesia cosentina – spiega – poi c’è stato il caso di Padre Fedele…».
A cinque anni dalla retata di noglobal presunti cospiratori, ordinata dal pm Fiodalisi, Liberazione ha chiesto a Claudio Dionesalvi di descrivere la mutazione di una città che sembrò un laboratorio politico importante quando i riflettori dei media la illuminarono mentre il teorema dei Ros la investiva. La qualità che il Pm Fiordalisi riconosce a Dionesalvi è la «pericolosità sociale». Per questo ha chiesto 3 anni e mezzo di carcere e un anno di libertà vigilata per questo prof di lettere delle medie. 36 anni, l’incarico a Lauropoli dove per i bambini rom si trasforma in maestro di strada. Giornalista per un quotidiano locale e direttore della più “antica” fanzine di curva. E ultrà. «Prima di tutto ultrà, perché è l’unica vera identità che mi riconosco. Anche la partecipazione eretica, flessibile, sganciata dalle strutture, ai movimenti nasce allo stadio. Ultras, a Cosenza, significa amare la propria città. Siamo antirazzisti, antiproibizionisti, viviamo la curva senza essere “Ringo boys”, tifosotti o ultrà stipendiati». E infatti da queste parti c’erano anche gli ultras, 17 anni fa, all’occupazione del Gramna. E li ascolti nell’etere da Radio Ciroma, emittente di movimento, e ne cogli l’interesse per la Casbah (animata da un altro coimputato, Santagata) che gestisce la Casa del migrante dove trovano accoglienza i rifugiati. A “compromettere” Dionesalvi ci sono i suoi articoli e una lettera spedita a Repubblica, e mai pubblicata, dopo un’inchiesta che demoliva il mito pasoliniano del poliziotto figlio del popolo. «Si diceva che gli agenti fossero professionisti addestrati a menare negli stadi. Ero d’accordo e rivendicavo il diritto alla resistenza di fronte alla violenza organizzata». Gliel’hanno trovata nel computer quella lettera. E poi ci sono due intercettazioni genovesi con Anna Curcio, coimputata per cospirazione. Si sente dire che «finalmente il corteo si difende…», si sente recitare un verso di un inno ultras: «Siamo 50, andiamo dove vogliamo… pronti a tutto». In aula si sentirà un boato quando il pubblico riconosce la canzone. Lo stesso Pm dovrà ammettere il tono «chiaramente scherzoso» di Dionesalvi. Da un mese, il coordinamento Liberi tutti ha aperto un gazebo in una delle piazze principali. Dice ancora Claudio che serve per riavviare una narrazione e un’autocritica collettiva perché, dopo il corteo del 2004, con alcune migliaia di persone, c’è stato un vuoto. Dal gazebo si vuole guardare il teorema da un punto di vista territoriale «senza sganciarlo da Genova». «Viviamo in una città dove non esiste un solo processo per mafia finito con una condanna e lo smantellamento della cosca, dove nessun politico è finito alla sbarra, dove un magistrato antimafia, nella relazione di dicembre, individua la cassaforte delle ‘ndrine propri negli studi professionali di qui. Invece la procura spende un patrimonio per inseguire i cospiratori». «Sembrava un laboratorio, dicevi. Sul piano sociale il laboratorio è rimasto aperto – riprende Claudio – nonostante l’arretramento sul piano morale e culturale, le esperienze di lotta sono rimaste in piedi, altrimenti non si spiegherebbero le occupazioni di case e la nascita di un movimento per il diritto all’abitare. Esperienza inedita per la città perché di solito le famiglie senza casa si muovevano nell’ombra ma abusivismo e clientelismo riproducono solo subordinazione. Il gesto che hanno compiuto, occupando per un mese uno stabile comunale appena ristrutturato, e abbandonato spontaneamente, ha prodotto una trattativa che ha portato alle prime assegnazioni. Ora decine di famiglie hanno trovato un punto di riferimento. Altro fatto significativo – a 17 anni dall’occupazione del Gramna, dove funzionano almeno 3 associazioni, l’unica palestra popolare, una casa editrice (Coessenza) – è l’occupazione del Rialzo, la vecchia rimessa delle Ferrovie calabro-lucane abbandonata da 10 anni in un’area in cui secondo la magistratura si concentrano gli appetiti della ‘ndrangheta. Un affare da 6 milioni di euro in palese violazione del piano regolatore. Lì opera il collettivo giovani Controverso, la sua rilevanza politica è enorme». Da un punto di vista politico, dal 2005 s’è aperto il dopo Mancini (Giacomo senior, Ndr) la stagione della «normalizzazione» in tutti i campi: «È una ristrutturazione che ha portato all’elezione di un sindaco espresso da una coalizione di “mostri”, settori non proprio limpidi, tutto ciò che c’era da riciclare come i Ds di Nicola Adamo (anche lui ha avuto i suoi guai con De Magistris e Why not) che sarebbe, secondo l’accusa, interno alla loggia che spartiva i fondi Ue. Poi c’è molta dc. Personaggi che non sanno cosa sia governare la cosa pubblica, che hanno sprecato il primo anno di mandato a litigare sull’indennità dei consiglieri comunali. Intanto manca l’acqua già ai primi piani, le strade e le infrastrutture sono in stato pietoso, il problema dei rifiuti non esplode solo perché ci sono accordi coi gruppi di potere che gestiscono la faccenda. L’eclissi è anche culturale per una città di antiche tradizioni e sede di università. Ed è un peccato perché il sindaco, Perugini (Pd), resta una persona valida e interessante sul piano umano ma s’è prestato a rappresentare il nulla (Rifondazione è fuori)». E allo stadio? «Una delle prime vittime è stato il Cosenza, poi è venuta la storiaccia di padre Fedele. Il Cosenza è stato retrocesso tra i dilettanti per una vicenda di irregolarità in bilancio e approfittando dell’arresto del presidente, poi assolto in prima grado con formula piena. È stata la stessa epurazione che ha toccato solo alcune società escluse da soluzioni politiche come il lodo Petrucci. Da allora la squadra è finita in balia di avventurieri e personaggi calati dalla politica. Ora c’è una nuova dirigenza, più seria, siamo in testa alla classifica e ogni domenica siamo in 6mila. Come in serie B», risponde con orgoglio ultras. «Padre Fedele Bisceglia, invece, è stato accusato di stupro ai danni di una suora ma è opinione diffusa che lui e il suo segretario siano innocenti, messi in mezzo da un’operazione per togliere di mezzo un personaggio scomodo che interveniva in vicende molto delicate». L’esempio è la vicenda dell’Istituto Papa Giovanni XXIII per anziani e diseredati, gestito dalla chiesa calabrese e teatro dell’arresto di don Luberto, il braccio destro del vescovo, in casa del quale hanno trovato beni per alcuni milioni dirottati dall’istituto. «Padre Fedele aveva sentito puzza di bruciato. Sta per aprirsi il processo e vive come mobbizzato anche dall’ordine dei cappuccini: sabato scorso ha attraversato il centro con una grossa croce in legno sulle spalle leggendo una lettera a tutte le donne del mondo con cui urla la propria innocenza. L’altro ieri s’è presentato all’Oasi francescana, destinataria di parecchi fondi e donazioni fondata da lui ma da cui è stato allontanato. Ha chiesto di essere riammesso in quanto povero ed è stato ancora scacciato». Ecco cos’è la normalizzazione in corso – a detta del cospiratore – ultras – maestro di strada – professore nella città fondata da lucani ribelli, i Brettii (Bruzi), antiromani, alleati di Annibale, che vide nascere quel Bernardino Telesio che avviò la storia dell’eresia, e fu teatro della prima rivolta antispagnola contro l’inquisizione, patria del ribelle Re Marcone e di Peppe Gervasi che, prima di Masaniello, fu protagonista del primo assalto ai Palazzi dei Borboni, in anticipo di quattro anni sui moti del ’48 e ai primi del Novecento culla di Pasquale Rossi, socialista e precursore della sociologia delle masse. «Nel ’23 – continua Claudio – tra i cospiratori arrestati con Bordiga, c’era un cosentino, Natino La Camera, che finì assolto. Ma questo non li salvò dal confino».
Checchino Antonini
Liberazione, 2 febbraio 2008

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *