Se google cambia i nomi delle nostre strade

(foto Pietro Salzano)
Motori di ricerca, algoritmi e social non modificano solo le nostre mappe mentali, le relazioni, le quotidiane procedure che eseguiamo; non si limitano a trasformarci in oggetti, a distrarci quando siamo alla guida, a disciplinarci e manipolare i nostri consumi e orientamenti politici. Può capitare pure che cambino i nomi delle strade.
Secondo le mappe di Google, a Cosenza il ponte dei Pignatari non è più quello del rione Massa, che nella toponomastica ufficiale si chiama “ponte San Lorenzo”. Nella carta digitale, forse complici alcune errate note stampa del comune di Cosenza e una maldestra indicazione affissa da qualche distratto appassionato di storia cittadina, l’intitolazione ai Pignatari – antichi vasai, artigiani della terracotta – è slittata a un altro ponte che nel corso della storia ha assunto denominazioni diverse: Ponte Maggiore, Santa Maria, “per andare alla beccaria”, Vocaturo, Galeazzo di Tarsia, San Francesco di Paola (quest’ultima intitolazione nel frattempo è stata trasferita al ponte di Calatrava). Tutti i nomi sarebbero legittimi, tranne “Pignatari” che, appunto, appartiene a un altro ponte.

Però Google ha deciso così. E capita di incontrare più di un cosentino convinto che abbiano ragione gli esperti cartografi e toponomastici pagati dalla multinazionale. È solo un dettaglio, per carità, ma fa riflettere. Oltre a contenuti intelligenti, gioiosi e simpatici, insieme a informazioni utili, è noto che nel web circolano anche fake, discorsi d’odio e finte verità che col tempo si cristallizzano in certezze inconfutabili. Che una strada cambi nome, in fondo, conta poco. Ma quando a cambiare è la nostra percezione della realtà, c’è da restare inquieti. Nei giorni scorsi due immagini o sequenze, provenienti da latitudini calabre, hanno fatto il giro del pianeta: un signore che correva nudo per le strade cosentine e un lupo impiccato a Marcellinara. Ilarità, stupore, rabbia, sete di vendetta! Non è una novità l’uso dell’immagine per suscitare emozioni forti a spese di chi soffre. E non è neanche inedito che tutto ciò elargisca potere e lucro ai padroni del baraccone. I giornalisti come i cronisti, i docenti e i biografi di ogni tempo, e andando a ritroso i giullari, i comici dell’arte, i rapsodi, sapevano e sanno che sulle loro parole viaggia anche il discorso del Potere. Un filosofo del ‘900 ha scritto che “Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”. Oggi questo è talmente vero che si può addirittura capovolgere l’aforisma: “L’immagine è l’accumulazione a un tal grado di capitale da divenire spettacolo”. A cedere le gambe al discorso del potere, a sorreggere sulle nostre schiene la Società dello Spettacolo, siamo tutti noi, utenti-lavoratori delle reti. Gli antichi greci usavano la tragedia per produrre catarsi. L’odierno spettacolo invece non ci purifica. Ne usciamo tutti più scemi, cattivi, disumani. Sì, ormai ne siamo consapevoli. Ma quando ritroviamo anche cambiati dall’alto i nomi dei luoghi in cui viviamo, s’impone una sensazione agrodolce d’essere stati pure fregati.
Claudio Dionesalvi

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