Piperno: “Io e Oreste fantasmi del PD”

Franco Piperno, docente di Fisica ed ex leader di Potere Operaio, non ha ancora mandato giù la polemica scatenatasi a causa della sua presenza al primo incontro della Coalizione sociale, tenutosi a Roma pochi giorni fa.
Professore, è bastato che lei ed Oreste Scalzone foste presenti ad un’assemblea della coalizione di Landini, e subito si è scatenata la caccia agli eretici. Come quando la espulsero dal PCI per le sue posizioni critiche sull’URSS.
“Conosco la sala convegni in cui si è svolta l’assemblea perché è la stessa che ci ospitava in quegli anni. Era stata la sala della Federazione Comunista di Roma. All’inizio del movimento, il PCI guardava a noi con simpatia e quindi ci ospitava. Da allora in quella sezione è passato Veltroni, questo giovane finto-comunista a suo dire, quindi quel posto porta abbastanza iella. Per questo motivo ero in dubbio se andare o no all’iniziativa di Landini. Mi ci si sono trovato quasi per caso perché avevo un appuntamento con i compagni di ESC, una delle organizzazioni che hanno aderito all’iniziativa di Landini. Ci saremmo potuti incontrare al bar all’angolo e non sarebbe successo niente. Questo la dice lunga su come Renzi e il PD vedano i fantasmi ovunque. L’idea secondo la quale io ed Oreste saremmo dei sostenitori occulti di Landini, è una cavolata e rivela la povertà del dibattito politico. Il fatto di farne una prova cruciale della dipendenza di Landini dai sovversivi svela un’idea cospirativa della politica, perché Renzi, essendo fiorentino, è un cospiratore nato”.
A differenza di tanti personaggi più o meno presentabili iscritti al PD, essendo stato partecipe della generazione degli anni settanta, tra esilio e carcere, lei un conto lo ha pagato.
“Non vorrei accentuare le mie tentazioni vittimistiche, ma senza alcuna prova sono stato oggetto di accuse cosmiche che andavano dal tentativo di distruggere l’ordine mondiale a 23 omicidi, 40 rapine. Alla fine sono stato condannato solo per costituzione di associazione sovversiva che era Potere Operaio. Per 10 anni ho avuto addosso accuse assurde. Devo ringraziare Paesi come la Francia e il Canada che avevano un fondamento di diritto più sicuro di quello che viene a noi da Beccaria Berlinguer. Non fu un problema solo mio, ma di un’intera generazione. Basti pensare che son finite in galera 20mila persone. Noi avevamo delle responsabilità politiche, ma attribuirci degli omicidi fu una pratica da terrorismo di Stato. Di carcere vero e proprio io ho fatto poco più di un anno, ma ci sono compagni che per gli stessi reati sono stati in galera nove anni. La legislazione speciale è dovuta agli stessi uomini di Stato come D’Alema che si vantano di aver sconfitto il terrorismo, ma non si assumono la responsabilità storica di aver avuto una generazione che ha preso le armi. Eravamo una minoranza, eppure socialmente trasversale, che includeva il figlio del ministro e l’operaio che veniva dalla Sicilia”.
Quando il sindaco di Cosenza, Giacomo Mancini, la nominò assessore ai Vigili urbani, lei chiuse il traffico nel centro storico e ordinò l’uso dei ceppi per castigare gli automobilisti indisciplinati. Toni Negri affettusamente disse: finalmente Piperno a capo di una banda armata… legale! Ma Renzi sa che per fare l’assessore lei ha ottenuto una riabilitazione dai tribunali italiani?
“Non credo che si ponga il problema. C’è un modo grossolano di trattare certe questioni. Io non sono stato mai condannato per fatti di sangue. Se sin dall’inizio l’accusa contro di me fosse stata quella di aver costituito Potere Operaio, non sarebbe stato un problema. Ho sempre riconosciuto di averne fatto parte e lo farei ancora. Per me la sovversione è un diritto. Naturalmente ha un costo. Capisco che la legge italiana, che è quella fascista del codice Rocco, prevede la galera per quelli che fanno un’associazione sovversiva, al di là dei reati effettivamente commessi. Da assessore adottai misure anche forti contro alcune cattive pratiche automobilistiche. L’esperienza in Giunta con Giacomo fu davvero molto interessante. Restituimmo vitalità al centro storico della città che nel corso dei secoli aveva già resistito ai terremoti e alla Democrazia Cristiana”.
Renzi usa lo spauracchio degli anni settanta per indebolire Landini come Salvini cavalca la xenofobia contro i migranti per indebolire Renzi. Ma perché il premier teme tanto Landini?
“Renzi è un sorta di moderato di destra. Più che simile a La Pira, come lui si vanta d’essere, io lo assocerei a Fanfani, anch’egli a suo tempo legato a La Pira però con un fare decisionista simile proprio a quello di Renzi. Gli riconosco un elemento di energia positiva, dovuto se non altro ad una questione anagrafica. Penso invece al viso di Fassino che solleciterebbe un gesto scaramantico. Renzi concepisce tutto però come un’attività del leader. Il partito serve raccogliere voti, non rappresenta un momento di discussione. Questo accanimento del premier contro Landini e contro chiunque emerga in una prospettiva diversa dalla sua, è dovuto al carattere personale della politica che lui interpreta, cioè il rapporto del leader col popolo dei teleutenti. Succede anche negli altri paesi europei. Si tenta di far fronte alla crisi della rappresentanza collegando direttamente il leader al popolo. È una rappresentanza autoritaria in cui non c’è posto per altri leader, una lotta per la sopravvivenza. Non è un problema del solo Renzi. Persino nello stesso Landini c’è qualcosa di simile: risolvere la crisi della rappresentanza con una nuova rappresentanza, magari più ristretta e decisionista. È un elemento di ingenuità che non è pericoloso come quello di Renzi, però rischia di ridurre la Coalizione sociale ad un nuovo cartello elettorale. È lo stesso problema che si pone in Grecia o in Spagna. Podemos e Tsipras rischiano di sostituirsi a quelli che hanno fallito per una questione sistemica. Da tutt’altra questione bisogna partire. Ci sono tante irrazionalità nei nostri comportamenti abituali che possono essere affrontate solo se le persone decidono di affrontare alcun problematiche in modo diverso. È un problema di partecipazione”.
Punti di forza e debolezze della nascente coalizione?
“Landini non ha commesso l’errore di convocare questa coalizione nell’imminenza di una scadenza elettorale. E questo è già positivo. Inoltre, dopo Trentin, lui è l’unico sindacalista che ammette gli errori del sindacato. Se tutte queste fabbriche hanno chiuso, la colpa sarà stata anche dei sindacati. Lo stesso statuto dei lavoratori ha protetto i lavoratori sindacalizzati, ma di fronte a una crisi come questa, come poteva evitare i licenziamenti di massa? C’è poi il problema della critica alla burocrazia sindacale, quella che firma i contratti, spesso formata da persone allevate nella bambagia. Non provengono dalla fabbrica. Sono paracadutati lì dai partiti politici. Il limite di Landini è che non intravede un’articolazione diversa dalla democrazia. Invece si sarebbe la possibilità di scardinare la rappresentanza. Per esempio, fare in modo che i contratti siano votati dalle assemblee operaie, non dai direttivi sindacali. La FIOM potrebbe riorganizzarsi in termini di democrazia diretta, non mediante i funzionari, bensì con delegati dell’assemblea operaia, con mandato temporaneo e vincolante. Il modello rimane quello delle istituzioni della democrazia diretta, che sono all’origine della città mediterranea e si ripresentano ogni volta che affiorano le lotte. Penso alla Comune di Parigi, ai soviet, ai consigli di fabbrica a Torino, agli abitanti di Scanzano in Basilicata, che rifiutarono i soldi delle aziende che volevano interrare rifiuti radioattivi sotto il loro paese. Il rischio è che la FIOM usi la crisi per mandare Landini alla segreteria della CGIL. Sarebbe sempre meglio di quella che c’è ora. Ma poco, rispetto alla prospettiva politica generale”.
La battaglia per il reddito di cittadinanza non è anacronistica?
“Sì, però sarebbe comunque meglio di niente. Negli anni settanta la lotta per il reddito di cittadinanza era collegata ad atteggiamenti di rifiuto del lavoro. All’epoca volevamo permettere agli operai che lavoravano troppo, di avere il tempo per dedicarsi alla politica. Tutto ciò avveniva molto prima che Grillo si convertisse alla politica. L’economia italiana in quegli anni tirava. Adesso il lavoro non c’è e quindi il reddito di cittadinanza viene a configurarsi come un sostegno al consumo. Un esempio? In Canada è previsto dagli anni sessanta, eppure questo non ha modificato il modo di vivere, non ha reso più libero il lavoro. Bisogna evitare l’errore che commette il Movimento 5 Stelle: non può essere il tema centrale della questione. Il problema è riuscire a far coincidere l’attività preferita dal soggetto con il lavoro che il medesimo svolge. Bisognerebbe guardare con attenzione alle esperienze di autoproduzione ed autorganizzazione come quella francese della comunità di Tarnac o le Officine Zero a Roma”.
Claudio Dionesalvi
il manifesto, 13 giugno 2015

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