Il verso morbido, ruvido, senz’approdo

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C’e ancora spazio per la parola? I sentimenti appartengono tuttora al genere umano o sono dominio esclusivo dei social network, merce da barattare con i “like” che tramite i dispositivi palmari ci restituiscono simulacri d’esperienza? In una domanda più perentoria: la poesia è morta oppure si è diluita nella realtà aumentata in cui siamo immersi?
Di certo la scienza ha impiegato circa mezzo millennio per scoprire la più poetica delle verità: il tempo non esiste. Possiamo vivere ciascun singolo istante come se fosse eterno. Inconsapevoli dei confini della dimensione spazio-temporale che ci avvolge, viviamo storditi da un incessante e vacuo inseguimento delle illusioni.
C’è però una condizione alternativa, una forma d’innalzamento statico dal dominio di un tempo ingannevole. E forse è proprio ciò che resta della poesia, intesa come capacità di fermarsi, assaporare il sensibile tepore dell’ascolto reciproco, spingersi nella ricerca di una parola libera dalla schiavitù del significato. I versi di Raffaele Zupo sono l’eco di quest’attitudine, emanano la dolcezza di una coscienza dilatata all’inverosimile, eppure sempre intima, mai urlante. Del resto riflettono la sua personalità: leale, solidale, umile ma carica di dignità e pronta a indignarsi dinanzi alle ingiustizie. Quei ricorrenti puntini sospensivi sembrano chiederci: “Sei d’accordo?” Pare vogliano dirci: “Aspetta un attimo, non riesco a ritrovare il nesso per procedere nei versi perché non mi preme rincorrere una sequenza di pensieri. Preferisco fermarmi e poi ripartire, magari da un’altra parte”. Intanto scorrono immagini in chiaroscuro, emergono impetuose e s’insabbiano, giocano con l’inconscio e rivelano stati d’animo comuni.
Bisogna conoscere Raffaele da vicino, la sua storia, le bellezza di un lieto fine che è soprattutto rigenerazione. Irresistibile è la sua risata, malinconiche le pause che osserva nel ripercorrere trame e utopie. La filosofia buddista che ha sposato, i meravigliosi amici che gli si sono stretti intorno nei sentieri tortuosi che in questa vita ognuno di noi può attraversare, accompagnano la magnificenza della persona, restituiscono al poeta il respiro indispensabile per impugnare la penna. E la sentimentalità che a tratti esprime in forma vorticosa, quasi virale, testimonia la vivacità dell’uomo, la voglia di ritrovare un cammino per divertirsi a perderlo e poi ancora recuperarlo. Così scorrono in carrellata paesaggi urbani interiorizzati, praterie di cemento fiorito. Fredde considerazioni si alternano a frecciate roventi. Non c’è un nemico nella poetica di Raffaele, non ci sono mulini a vento da abbattere. Eppure affiora costante la ricerca di un approdo che sembra non arrivare mai. “Curare i restanti umanitari fautori, prevenire epidemie di sani valori, per non soffrire … aiutare … morire”. Sembra quasi di vederlo, leggendolo, mentre dalla stanzetta che s’affaccia sul presente, richiama alla mente le visioni della precedente serata, scruta i passanti, s’addentra nei pensieri altrui per cercare di palparli e rintracciare somiglianze coi propri moti emozionali. In questo vagheggiare i legami invisibili che ci affratellano nell’apparente rarefazione contemporanea, lo sentiamo vicino, avvertiamo d’essere parte di lui. Per perderlo di vista un istante dopo e ritrovarlo mutato, raggomitolato eppur carico di vitale energia.
Claudio Dionesalvi
(introduzione a Raffaele Zupo, “I perimetri delle illusioni”, Coessenza 2016)
(il libro è in vendita a Cosenza presso le librerie UBIK (via XXIV Maggio) e Domus (via Montesanto), le edicole di Marco e Roberto Riconosciuto (corso Mazzini-salita di Pagliaro e piazza Kennedy). Ordinabile on line scrivendo ad  aragorno@libero.it

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