Schiave nella città dei “casati”

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Una rete invisibile di sfruttamento della prostituzione avvolge i quartieri alti. Se ne sente parlare da tempo. La polizia indaga, ma nella città dei “poteri forti” i giri del vizio rimangono rigorosamente nascosti. L’intreccio tra criminalità e “Cosenza bene” produce frutti amari. E così, anche il rispettabilissimo mestiere delle “lucciole”, vecchio almeno quanto la cultura occidentale, finisce in pasto alle strutture occulte. Per uno scherzo della sorte, nel gergo comune dei cosentini il termine “polacca” è diventato sinonimo di prostituzione. Eppure, solo chi conosce le ragazze provenienti dalla Polonia, sa che sono capaci di sottoporsi a sacrifici massacranti pur di sopravvivere. Alla base di ogni credenza popolare esiste una cruda verità: sul mercato cittadino del sesso a pagamento la malavita locale sta inserendo giovani dell’Europa orientale.
Una serata in compagnia di una ragazza dell’est costa circa 70mila lire. Hanno un’età media che non supera i 25 anni e vengono reclutate in modo occasionale. Per loro non c’è alcuna possibilità di autogestire la propria attività. In un territorio storicamente abitato da una criminalità che si è sviluppata proprio a partire dal controllo della prostituzione, esistono pochi margini di autonomia per chi vuole “mettersi in proprio”.
Dagli speculatori della carne, alle sanguisuga della manodopera: negli ultimi mesi, il flusso migratorio più consistente ha riguardato i giovani moldavi. Vengono utilizzati nei cantieri e come boscaioli. In cambio, percepiscono compensi da fame. Sono circa una quarantina quelli che nei mesi estivi si rivolgono all’Ufficio stranieri per ottenere un permesso di soggiorno.
Due storie recenti possono servire alla comprensione dei fenomeni connessi al problema dell’assenza di diritti e garanzie per gli immigrati. La prima esperienza di vita è quella di Zosha (il nome è immaginario – Ndr) 27 anni, polacca, arrivata a Cosenza nel ’97. Ha trovato un impiego come collaboratrice domestica nella famiglia di uno stimato professionista. Il datore di lavoro ha manifestato sin dall’inizio un forte interesse per la bellezza della ragazza, presentandola ad alcuni amici “importanti”. Da semplice colf, è diventata fornitrice di prestazioni sessuali ed è stata inserita in un giro allargato di frequentazioni. Il sistema di contatti – accuratamente sotterraneo – le ha dato la possibilità di stringere amicizie “pesanti”. Quando Zosha ha manifestato la volontà di uscire dal giro, è stata scaricata immediatamente. La prudenza le ha suggerito di allontanarsi dalla città. Poi, la fortuna le ha fatto trovare rifugio in una struttura religiosa di accoglienza.
Diversa è la storia di Edic M. e dei suoi connazionali moldavi Valerio R. Radu A. e Valerio A. Quest’ultimo era al secondo anno di Ingegneria quando ha deciso di lasciare il suo paese per trasferirsi a Cosenza. Adesso fa il manovale. In due diverse circostanze, i quattro immigrati hanno lavorato, a Carolei e Luzzi, come boscaioli e carpentieri. A Carolei, all’inizio del rapporto, il “caporale” di turno aveva promesso una lauta ricompensa. I moldavi sono stati impiegati come taglialegna e trasportatori. Un mese su e giù per le montagne, a spaccare e caricare tronchi enormi. Ma al termine della prestazione non hanno visto una lira. Il padroncino li ha giocati, approfittando del fatto che sono stranieri. Anche a Luzzi erano stati assunti da un truffatore. Quando hanno provato a chiedere il compenso per il lavoro svolto, si sono sentiti rispondere: «Non vi conosco». Dell’episodio sono stati informati i carabinieri della locale caserma, che hanno avviato un’indagine. Ma i moldavi sanno che è veramente difficile trovare giustizia in un momento storico come questo, in cui la psicosi dello straniero si annida anche nelle menti più lucide della società civile.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 16 settembre 1999

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