Alle origini rimosse di una questione sociale

By 0 , , Permalink
Ritrova luce un sepolto capitolo di storia cittadina. L’epopea dei Rom cosentini spunta da dove non ci si sarebbe aspettato che potesse riaffiorare: da uno di loro. Nel corso del tempo, poche figure umane di pregio si sono accostate alla cultura romanés con amore, interesse e rispetto. Per il resto, su questa comunità, quando ancora tale poteva definirsi e anche dopo la sua rarefazione, hanno lucrato in tanti: sindacalisti etnici, sociologi della naftalina, accaparratori di voti, fascisti incalliti e malavitosi in cerca di sangue fresco da versare sugli altari del micro-potere criminale. Nel bene e nel male, tutti ne hanno parlato, pochi hanno avuto l’accortezza di ascoltarli, i Rom.
Fiore Manzo è nato e cresciuto nella baraccopoli di Gergeri. Oggi traccia il profilo del popolo disgregato da cui proviene, ricompone tasselli, individua responsabilità e miraggi di un’inclusione che è avvenuta solo per chi s’è saputo emancipare con le proprie forze, prima di tutto dal familismo e dal gorgo inestricabile della consuetudine, senza attendere i lacrimevoli interventi liberatori degli “Italiani” che un interesse reale a minare certi muri non lo hanno mai realmente avuto. Sono barriere che se davvero fossero crollate, per tante “anime belle” sarebbero naufragate anche le residue possibilità di spingersi nei territori mitici dei presunti nomadi per conquistare medaglie e finanziamenti con la scusa di redimere i selvatici di ogni epoca. L’autore di questo libro è consapevole che il tempo è passato, sa che il mondo da cui proviene ha smesso di essere comunità diversi decenni or sono, proprio quando abbandonò il nomadismo per tentare di aggrapparsi a una vita stanziale per niente confortevole. Qualsiasi descrizione che oggi si ostini a rappresentare i Rom come emarginati, estranei alla dimensione ordinaria, risulta priva di realismo. Per una ragione semplice: un dentro e un fuori nella società italiana esistono soltanto in funzione di chi deve mantenersi in alto a discapito dei milioni di donne e uomini relegati in basso. L’origine etnica è causa della condizione di povertà solo quando è il razzismo a brandirla per giustificare la privazione di garanzie, diritti, servizi e prospettive. In tantissime scuole i bambini rom sono sempre più di rado inquadrati come alieni in ragione delle loro ormai rimosse radici culturali. A parte quei contesti in cui conviene ancora marginalizzarli pur di ottenere finanziamenti e prebende, gli alunni provenienti da famiglie rom sono sempre meno riconoscibili in quanto tali; a volte raggiungono i risultati scolastici migliori; assurgono spesso al rango di “primo della classe”. Allora, la ricostruzione storica che prende forma in queste pagine ha il grande merito di indagare la questione nella sua complessità, illuminare le cause di un degrado sociale funzionale al sistema securitario in cui siamo costretti a vivere. A quanti carabinieri e poliziotti potremmo rinunciare se nel “villaggio” alle spalle dello stadio di Cosenza non abitassero anche pochissime persone dedite all’attività criminale del “cavallo di ritorno”? Nel campionario dei reati, prendere di mira una persona, quasi sempre povera o comunque non ricca, rubarle la macchina, poi contattarla al telefono e chiederle un riscatto è una delle modalità del crimine più odiose che esistano. La praticano in pochi, così come una sparuta minoranza spaccia oppure occupa con la violenza case popolari già abitate da qualche altra famiglia indigente, scacciandola con una pistola in pugno. Per un incidente della storia, questi crimini sono commessi da soggetti che hanno remote origini rom e abitano in un villaggio realizzato 20 anni fa, quando vi furono allocati dopo lo smantellamento della storica baraccopoli di Gergeri in cui abitavano. Purtroppo bastano questi individui ad attirare odio sociale su decine di nuclei familiari composti da persone onestissime. I reati commessi da pochi, tollerati dalle forze dell’ordine, ripropongono stigmi antichi, come il mito negativo degli “zingari ruba-bambini” o ipnotizzatori di allocchi. C’è un’origine del problema? Esiste un’ora X in cui tutto ciò nella nostra città si sarebbe potuto evitare? Forse è il giorno in cui la pur migliore amministrazione comunale che a Cosenza si sia insediata dal dopoguerra a oggi decise di ficcare tutti insieme, i Rom, in un angolo appartato della città. Lo fece ignorando le loro rivendicazioni, la richiesta di partecipazione che da molte di quelle famiglie perveniva alle istituzioni. Furono altri a parlare per loro. E il Comune scelse la strada più agevole: tirare dritto, affidarsi agli specialisti dell’integrazione forzosa, della progettazione sociale coatta e remunerativa, pur di portare a casa il risultato minimo dell’abbattimento di una baraccopoli che prima di tutto deturpava l’immagine “civile” di una città proiettata verso scenari europei, ma infestata da una borghesia parassitaria e malandrina. Operando con dovizia storiografica, Fiore Manzo stabilisce i nessi, restituisce voce a chi ne fu privato, individua il divario tra le intenzioni iniziali e le realizzazioni concrete di un progetto urbanistico e sociale rivelatosi nocivo e fallimentare. Ammonisce quanti ancora prospettino soluzioni concentrazionarie per le varie minoranze presenti alle diverse latitudini europee. In un tempo affetto dalla “malattia della ragione”, proprio mentre milioni di persone faticano a mantenere saldi i legami con la realtà, ignare dei rapporti tra la storia e il presente, il suo lavoro assume un peso ulteriore. Non solo per le donne e gli uomini di origini rom.
Claudio Dionesalvi

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *