Le donne rom alzano la voce: “Perquisizioni discriminanti”

Le mamme rom alzano la voce. Il giorno dopo l’operazione dei carabinieri a Gergeri, scatta la protesta delle donne del quartiere. Stefania Manzo, Maria Addolorata Manzo e Giovanna Berlingieri, residenti nel rione, denunciano pubblicamente gli enormi disagi patiti da decine di famiglie martedì mattina. “Vivere in un quartiere come Gergeri non è facile”, affermano. E spiegano che “subire periodicamente le perquisizioni delle forze dell’ordine sta diventando drammatico”. Quindi, una precisazione: “Per chi agisce in modo criminoso, sarà forse un fatto quasi normale, ma per quelle famiglie che lavorano e vivono onestamente, rappresenta una vera e propria intrusione. All’alba di due giorni fa l’irruzione nelle nostre case ha portato lo scompiglio soprattutto tra le donne e i più giovani. Ci chiediamo se sia lecito in uno Stato democratico filmare con le videocamere i bambini ed entrare con le armi in pugno mentre le persone dormono”. I disagi sono notevoli: “Le perquisizioni si protraggono spesso per intere mattinate, impedendo ai ragazzi di andare a scuola e ai capifamiglia di recarsi al lavoro”.
Quindi, le tre casalinghe del quartiere Gergeri pongono una serie di interrogativi: “I controlli indiscriminati della popolazione sono un metodo applicato nei confronti di noi rom. Ma quando polizia e carabinieri entrano nelle case di famiglie che abitano in altre zone della città, perquisiscono forse i relativi condomini ed interi quartieri?”. Non mancano precisazioni sul comportamento delle forze dell’ordine: “Tra gli agenti e i militari ci sono persone che operano in modo garbato e civile, ma anche individui che agiscono con arroganza e professionalità discutibile. Essere oggetto di battute umoristiche, per esempio, non è gradevole alle sei del mattino, quando si è tirati giù dal letto e si è costretti a stare per due ore sotto la pioggia mentre vengono perquisite le macchine”. Al resto della cittadinanza le mamme rom segnalano il problema delle condizioni in cui crescono i loro figli.
“Crediamo sia giusto che le forze di pubblica sicurezza intervengano per reprimere il crimine, ma non è più ammissibile che i disagi dovuti all’azione investigativa ricadano sui bambini, che vivono costantemente con l’incubo che da un momento all’altro entri in casa l’uomo con il volto coperto dal passamontagna nero”. Infine, un segnale alla società civile: “Ci sono state figure all’interno del mondo cattolico e delle associazioni, come per esempio Padre Alberto, che tanto hanno lavorato per la buona educazione dei nostri figli e di noi stessi. Oggi, la situazione in cui viviamo rischia di cancellare anni ed anni di tentativi attuati da persone che hanno cercato di farci uscire dalla condizione di emarginazione”. Il segnale, forte e chiaro, è stato lanciato. C’è ancora qualcuno disposto a tutelare la dignità dei bambini in questa città?
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 18 novembre 2001

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