Dignità per Ciccio Stola e per tutte le persone detenute

Una persona detenuta può essere privata del diritto alle cure? È degno di un Paese civile che un prigioniero su una sedia a rotelle sia rinchiuso in una cella dell’Alta sicurezza? Non è ancor più assurdo che questa persona soffra la privazione della libertà e del diritto alla salute, ma nei suoi confronti non sia stato celebrato un regolare processo?
Da ormai oltre un anno Francesco “Ciccio” Stola è detenuto nelle carceri. È stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sulla criminalità organizzata cosentina. In questi giorni sta iniziando il processo a suo carico. Francesco è molto conosciuto in città per la militanza negli ultrà del Cosenza Calcio. Le sue condizioni di salute erano già gravi prima dell’arresto. Una patologia incurabile, che lo ha colpito alla schiena, da tempo gli impedisce di camminare. Attualmente Francesco è ridotto su una sedia a rotelle, detenuto nella casa circondariale di Catania. La sua difesa ne chiede la scarcerazione o comunque un’attenuazione della misura detentiva. Pochi giorni fa, rigettando l’istanza sulla base di un parere del dirigente sanitario, il tribunale di Cosenza ne ha disposto il trasferimento in un centro clinico dell’amministrazione penitenziaria. Eppure per Ciccio sarebbe indispensabile il ricovero presso una struttura specializzata. Il medico legale che lo ha visitato di recente ne ha attestato l’incompatibilità con la vita carceraria, segnalando l’urgenza di cure specialistiche all’esterno del penitenziario. La relazione prodotta dal dottor Plinio Nava certifica che il detenuto è affetto da stenosi vertebrale comprimente l’intero canale midollare. Essendo una patologia neurodegenerativa, è urgente che il paziente sia curato in un centro di microchirurgia invasiva. Eventuali ulteriori ritardi nel trattamento comprometterebbero l’utilizzo degli arti inferiori. Rischia cioè di restare paralizzato per tutta la vita.
L’art. 27 della costituzione parla chiaro: «La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte».
I familiari di Ciccio e i suoi amici sperano che facciano sentire la propria voce le associazioni e i comitati per i diritti inviolabili della persona, i garantisti, le forze politiche che in parlamento e fuori si battono per la dignità delle donne e degli uomini privati della libertà. Francesco non potrebbe né fuggire né inquinare eventuali prove contro di lui o commettere reati. Dunque non sussistono i presupposti per la custodia cautelare.
Che sia liberato subito e messo in condizioni di curarsi. E che il suo caso riapra un pubblico confronto sulla necessità di garantire perlomeno un trattamento umano a tutte e tutti i detenuti nelle carceri italiane.
Claudio Dionesalvi

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