Calabria solidale? In apparenza

Donne, uomini e bambini, rinchiusi in un recinto. Abbiamo veramente uno strano modo di “accogliere” gli immigrati!
È la conclusione alla quale si perviene, leggendo i risultati della ricerca svolta dal dipartimento di Sociologia dell’università della Calabria, sul centro di prima accoglienza “Sant’Anna” di Isola Capo Rizzuto. L’attività si è svolta nell’ambito dell’Iniziativa comunitaria Equal – Progetto Asylumisland.
Un primo rapporto finale, redatto dalla ricercatrice Elisabetta Della Corte, registra il grado di inserimento socio-economico di richiedenti asilo e rifugiati in Calabria.
Il secondo, firmato Luigi Commisso e Mirella De Franco, analizza la situazione delle strutture di accoglienza in Provincia di Crotone, scandagliando anche questioni come i sussidi riservati ai migranti, la seconda accoglienza, le condizioni igieniche e i servizi offerti all’interno del centro Sant’Anna. In appendice, la ricerca propone le storie di vita di alcuni profughi.
Calabria solidale, dunque? Sì, ma solo in apparenza. Perché è ormai divenuta sede di strutture miranti all’identificazione, al controllo ed alla reclusione.
I risultati dell’indagine corrodono il mito di una regione protesa verso le contaminazioni, aperta ai migranti: “La presenza del Centro S. Anna determina due effetti principali: i profughi vengono ridotti a corpo estraneo al contesto territoriale che ospita il centro di accoglienza; le istituzioni locali e la società civile vengono deresponsabilizzate dalla gestione del fenomeno. Ciò spiega la pressoché totale assenza di politiche per l’accoglienza dei richiedenti asilo da parte delle istituzioni regionali e territoriali e scarsa rilevanza delle iniziative poste in essere dal terzo settore. Ciò è concausa se non causa principale, della riduzione della Calabria ad area di transito e della dispersione sociale dei profughi”.
I numeri sono impressionanti: “Gli arrivi in Calabria per il 2001 ammontano a 5813 profughi di varie nazionalità. Di questi, 5709 sono stati ospitati al campo di S. Anna. La loro presenza, rispetto al totale degli ospiti (cioè quelli provenienti da imbarcazioni approdate in altre regioni) è pari al 95,63%. Diversamente, rispetto al totale degli sbarchi in Calabria, la percentuale dei profughi che è stata trasferita in centri di accoglienza fuori regione (104 persone) è pari a 1,79%”.
Nel 2002, la Calabria cessa di essere principale sponda d’approdo. “A fronte di un notevole incremento degli sbarchi in altre regioni, nel 2002 si è registrata una notevole riduzione sulle coste calabresi: 1958”.
Particolarmente drammatica è la condizione di profughi e rifugiati. Scrivono i ricercatori dell’Unical: “Secondo chi vive lo “stato” di profugo, se l’arrivo in Calabria è stato per molti puramente casuale, non è escluso, a priori, il fatto che essi possano fermarsi qui. Ciò che è certo – perché è emerso da un buon numero delle interviste effettuate – è che il loro andare via da Crotone, una volta usciti dal Centro di Prima Accoglienza, dipende da un suggerimento dei funzionari di polizia operanti all’interno del campo”.
Scarsa è la sensibilità tra i livelli più alti della politica. La Regione spende ogni anno un miliardo delle vecchie lire, destinate ad “enti ed associazioni che, non essendo iscritte al Registro Nazionale previsto dalla legge, non potevano attingere al fondo nazionale”. L’impegno di spesa, evidentemente, si disperde in rivoli infiniti: “La Regione Calabria non dispone di strumenti per la programmazione d’interventi  a favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Questo s’inquadra in una più generale sottovalutazione del fenomeno immigrazione”.
Emblematico il caso della Provincia di Crotone, che “ha dimostrato una sensibilità al problema rifugiati fin dal primo giorno della sua costituzione”, tentando “più volte di utilizzare fondi gestiti dalla Regione Calabria ma senza successo”.
È un vero peccato. Esistono alternative concrete all’accoglienza detentiva. Qualche esempio? Alcuni piccoli Comuni che circondano Cosenza, come quello di Rovito, grazie alla cooperazione con la Casa dei Migranti, stanno sperimentando forme concrete di inserimento abitativo e sociale di famiglie in fuga dalla guerra. I risultati sono tangibili. E dall’autunno scorso, bambini curdi frequentano le nostre scuole.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 23 gennaio 2004

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