I «caracoles», i municipi autonomi del Chiapas, compiono due anni.

Claudio ha scritto questo articolo prima che, lo scorso 28 luglio, gli fosse vietato di imbarcarsi per il Messico. Gli Stati Uniti non volevano che sorvolasse il loro territorio.
Il Chiapas me lo hanno fatto vedere per la prima volta i miei compagni del nordest. A Padova, Venezia, Trieste, ho visto il Chiapas. Tutte le volte che andavo a trovarli, mi raccontavano le lotte degli zapatisti, la loro dignità, il cammino verso l’autonomia. È stata una specie di affabulazione, un caleidoscopio di storie ribelli. È così che ho cominciato a leggere Marcos e a studiare l’orgogliosa insurrezione degli indigeni del sudest messicano. Da allora non ho mai smesso di seguire le vicende di quella regione lontana, nonostante io esca poco e malvolentieri dai territori della ex Calabria Citeriore. Poi, quando ho scoperto che gli zapatisti amano il calcio, sono impazzito dalla voglia di andare a incontrarli. Per un ultrà che ha attraversato almeno tre generazioni sui gradini di una curva, l’autogoverno del territorio è desiderio vivo, pane quotidiano. E una palla di cuoio che rotola, calciata da uomini e donne in passamontagna, rende gioiosa qualsiasi utopia. A Cosenza, peraltro, abbiamo una lunga tradizione nel costruire dal basso «zone temporaneamente autonome».
Sinora, la spinta di andare laggiù non l’avevo mai avuta. Ma quando Franz e gli altri fratelli veneziani e tutti gli ultrà disseminati in mezza Europa hanno ideato e costruito il progetto «Stadio del Bae», ho capito che dovevo andare in trasferta in Chiapas e portare nello zaino la sciarpa rossoblù con la scritta «Come on wolves». In dialetto, «Via lupi via». Ci ricongiungeremo agli ultras ed ai compagni partiti con la carovana Ya Basta. Spero di incontrare Elìas Contreras. Sogno di fare quattro chiacchiere col pinguino e con le altre creature conosciute nei racconti del subcomandante. È quel punto di vista che m’attrae. Il punto di vista di chi ama personalmente la propria terra ma ragiona in chiave globale, senza smettere di giocare con la palla e le parole.
Claudio Dionesalvi
CARTA settimanale, n° 29   agosto 2005

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *