Arance indigeste alle ‘ndrine

Le “arance no ‘ndran­gheta” danno fasti­dio eccome. Te ne accorgi cam­mi­nando tra le mace­rie di un capan­none adi­bito a rico­vero delle attrez­za­ture agri­cole. I soliti noti, not­te­tempo, e men­tre dal cielo cadeva tanta acqua come in un anno, hanno appic­cato il fuoco e l’hanno distrutto. L’agriturismo bio­lo­gico ” ‘a lan­terna” di Mona­ste­race, nell’interstizio tra le pro­vince di Catan­zaro e Reg­gio, è un modello di agri­col­tura etica e soli­dale. Con­tro le ‘ndrine, la mas­so­ne­ria e per il cam­bia­mento. E soprat­tutto per levarsi di dosso quella «men­ta­lità del destino che tanto abbiamo com­bat­tuto in que­sti anni. Lo dob­biamo all’Italia intera, che è ormai con­ta­giata dall’espansione stri­sciante delle mafie e dei poteri occulti, veri e pro­pri tumori della demo­cra­zia e del bene comune: assu­mono deci­sioni pub­bli­che in luo­ghi pri­vati, tra­sfor­mano la poli­tica in Borsa degli inte­ressi indi­vi­duali, ledono la con­cor­renza e il libero accesso ai mer­cati, si impa­dro­ni­scono dei beni pub­blici sot­traen­doli alla col­let­ti­vità, emar­gi­nano chi non conta nulla e non ha potere da scam­biare» ci dice, ama­reg­giato, Vin­cenzo Lina­rello, a capo del gruppo coo­pe­ra­tivo Goel, net­work di aziende agri­cole del ter­ri­to­rio che si oppon­gono alla ‘ndrangheta.
È la set­tima volta in pochi anni che ” ‘a lan­terna”, socia di Goel Bio, viene presa di mira con atti inti­mi­da­tori. Una vera e pro­pria esca­la­tion mafiosa che tenta di sog­gio­gare quest’azienda che insieme a Goel Bio ha scelto un modello di svi­luppo soste­ni­bile e crea valore sociale ed eco­no­mico nel ter­ri­to­rio. I danni sono ingenti e pro­prio alla vigi­lia della rac­colta agru­mi­cola. Un trat­tore, il gaso­lio agri­colo e l’attrezzatura mec­ca­nica sono ormai inser­vi­bili. Il trat­tore era essen­ziale all’attività dell’azienda che stava per ini­ziare la cam­pa­gna di rac­colta. Le pes­sime con­di­zioni atmo­sfe­ri­che hanno reso par­ti­co­lar­mente com­plessa la stima dei danni che, ad una prima valu­ta­zione, sem­brano aggi­rarsi intorno ai 30 mila euro. Dal 2009 con cadenza quasi annuale l’azienda di Mona­ste­race è stata oggetto di ripe­tute inti­mi­da­zioni di natura incen­dia­ria. Nel 2012 è stata distrutta la strut­tura di acco­glienza agri­tu­ri­stica. Lo scorso anno si è ten­tato di appic­care fuoco al risto­rante. Prima ancora erano stati distrutti l’uliveto, il qua­dro elet­trico e la pompa per l’irrigazione, gli alloggi della casa padro­nale. E sulla botte esterna alla locanda si sono acca­niti ben due volte. «Que­sto stil­li­ci­dio di aggres­sioni va fer­mato. Ben 7 inti­mi­da­zioni mafiose in 7 anni, e tutte ad oggi impu­nite», con­ti­nua Lina­rello, «que­sto ad una sola delle aziende agri­cole socie di Goel senza cioè con­tare quel che hanno subito le altre aziende socie. Noi ci sfor­ziamo giorno per giorno di dare una con­creta spe­ranza di riscatto dalla ‘ndran­gheta. Ma se la rea­zione non sarà forte e inci­siva il mes­sag­gio che può pas­sare agli occhi della gente è quello della disfatta e dell’impunità». L’impegno in prima linea e que­sta forma ori­gi­nale di mutua­li­smo eco­no­mico in terra di ‘ndran­gheta è mal­vi­sta dal potere cri­mi­nale. E ha pro­cu­rato atten­tati, inti­mi­da­zioni, cam­pa­gne dif­fa­ma­to­rie, ten­ta­tivi più o meno velati di dele­git­ti­ma­zione. Ma loro non si fer­me­ranno e non subi­ranno inermi que­sti attac­chi. Hanno avviato una rac­colta fondi per ripa­rare i danni e sono pronti a ripar­tire dall’imminente rac­colta delle arance. Goel Bio rag­gruppa pro­dut­tori della Locride e della piana di Gioia Tauro che garan­ti­scono una con­dotta azien­dale etica e offrono pro­dotti tipici di alta qua­lità. I pro­dotti com­mer­cia­liz­zati da Goel Bio sono cer­ti­fi­cati bio­lo­gici e pon­gono al cen­tro del pro­cesso pro­dut­tivo la pro­du­zione tipica regio­nale e il patri­mo­nio di bio­di­ver­sità, resti­tuendo al con­su­ma­tore il diritto sovrano di scelta ali­men­tare, messo a rischio dall’agricoltura inten­siva, dall’uso di Ogm, dalla glo­ba­liz­za­zione e dalle mul­ti­na­zio­nali. La sto­ria di Goel è, tut­ta­via, una mosca bianca in Cala­bria. Dove il set­tore agru­mi­colo è una nar­ra­zione di sfrut­ta­mento, mafie, minacce ed oppressione.
«Il corpo viene usato e mer­ci­fi­cato a scopo di pia­cere o di lucro. Non pos­siamo tacere se molti fra­telli stra­nieri dor­mono su spiagge. Soprat­tutto a Schia­vo­nea. E se dor­mono vicino alle cucce dei nostri cani. Biso­gna non tacere e denun­ciare. Mi chiedo se migliori con­di­zioni non avreb­bero por­tato a sorte diversa i nostri fra­telli romeni. Que­ste per­sone non sono numeri. Pren­diamo sul serio il feno­meno della glo­ba­liz­za­zione. Nes­suno è troppo pic­colo per non essere con­si­de­rato umano». Fu chiaro e duro Santo Mar­cianò, vescovo di Ros­sano, in pro­vin­cia di Cosenza, durante i fune­rali dei sei brac­cianti agri­coli romeni, tre uomini e tre donne, tra­volti e dila­niati da un treno men­tre tor­na­vano da una gior­nata di lavoro nei campi. Pare che fos­sero tra i pochi rego­lar­mente assunti. Ave­vano attra­ver­sato i binari delle fer­ro­via jonica var­cando un can­cello pri­vato. Nella piana di Sibari il tempo del rac­colto di arance e cle­men­tine è tor­nato. Ma quasi nes­suno ricorda più quella tra­ge­dia avve­nuta tre anni fa, il 24 novem­bre 2012. Tutto passa in secondo piano, per­sino il feno­meno del capo­ra­lato, quando a cadere sotto i colpi è un bam­bino di tre anni. Oggi i check point sono scom­parsi. Venti mesi fa, un tri­plice omi­ci­dio mafioso portò qui i media mon­diali, la Dda e papa Ber­go­glio. Un pro­iet­tile alla testa e una tanica di ben­zina can­cel­la­rono le vite del pic­colo Nicola “Cocò” Cam­po­longo e di una ragazza maroc­china, Touss Ibtis­sam Touss, col­pe­voli solo di tro­varsi in com­pa­gnia del ber­sa­glio desi­gnato di un agguato: Giu­seppe Ian­ni­celli, rispet­ti­va­mente nonno e con­vi­vente dei due. Nelle set­ti­mane suc­ces­sive sem­brava di essere in Siria. Posti di blocco ovun­que. Adesso sono in car­cere due dei pre­sunti ese­cu­tori del più orri­bile dei delitti di ‘ndran­gheta avve­nuti nella Siba­ri­tide. La situa­zione sem­bra tor­nata alla nor­ma­lità: il solito ordi­na­rio via­vai di baschi verdi e manette, truffe all’Inps, falsi brac­cianti e finti parenti di anziani che riscuo­tono pen­sioni. Ormai di ope­ra­zioni come que­ste se ne veri­fica almeno una all’anno. Migliaia le per­sone coin­volte. In una simile cor­nice, chi volete che trovi il tempo di inda­gare sullo sfrut­ta­mento e la schia­vitù nei campi? Rac­co­gli­tori asia­tici, jur­na­turi locali e pro­sti­tute nere lavo­rano gomito a gomito tra la SS 106 e le strade interne. Qual­che volta i migranti scom­pa­iono. Nes­suno li cerca. Sarebbe comun­que impos­si­bile indi­vi­duarli in una zona così vasta, sotto agru­meti, pescheti e oli­veti. È suc­cesso pure che sono stati ritro­vati sulle spiagge o lungo gli argini dei nume­rosi tor­renti, ormai cadaveri.
I capo­rali qui si auto­de­fi­ni­scono «capo­squa­dra». Pos­sono pescare in un ampio bacino di reclu­ta­mento: sono 12 mila i lavo­ra­tori sta­gio­nali. Gua­da­gnano 25 euro al giorno per la rac­colta degli agrumi. Non più di 35 euro a quin­tale sono dispo­sti a pagare i gros­si­sti alla con­se­gna delle olive. La mala­vita ha ideato una forma di dolce estor­sione: impone ai pro­prie­tari ter­rieri di lasciare aperti i can­celli dei ter­reni col­ti­vati. Quindi, soprat­tutto nella sta­gione delle pesche, ordina ai brac­cianti di rac­co­gliere clan­de­sti­na­mente ton­nel­late di frutta che viene immessa sul mer­cato appro­fit­tando di qual­che distri­bu­tore com­pia­cente. Nono­stante tan­tis­simi siano i distri­bu­tori one­sti che hanno tro­vato mer­cati nell’Europa dell’est, la situa­zione gene­rale rimane cri­tica. «In pro­vin­cia di Cosenza – dichiara il respon­sa­bile della Dire­zione Ter­ri­to­riale del Lavoro Giu­seppe Pata­nia – ci sono società, coo­pe­ra­tive senza terra, nella Siba­ri­tide, che appa­ren­te­mente sono fina­liz­zate ad altre atti­vità men­tre in realtà for­ni­scono ille­ci­ta­mente mano­do­pera alle altre con­sor­ziate. L’ispettore del lavoro veri­fica i pre­sup­po­sti e disco­no­sce la coo­pe­ra­tiva e con­te­sta la som­mi­ni­stra­zione. Ma il feno­meno è per noi solo giu­ri­dico». Nella scorsa sta­gione agru­mi­cola in pro­vin­cia di Cosenza sono stati ese­guiti con­trolli in due periodi. «Nel gen­naio di quest’anno – pro­se­gue Pata­nia — sono state ispe­zio­nate 14 aziende di cui 9 irre­go­lari (64%), le posi­zioni lavo­ra­tive veri­fi­cate sono state 105, di cui 58 irre­go­lari e 33 total­mente in nero (57%), in totale sono stati adot­tati 66 prov­ve­di­menti ammi­ni­stra­tivi per san­zioni ammon­tanti a poco meno di 145 mila euro. Il secondo inter­vento è stato svolto a feb­braio con la veri­fica di 18 aziende di cui 15 irre­go­lari (83,3%), le posi­zioni lavo­ra­tive veri­fi­cate sono state 65 di cui 54 irre­go­lari (72%) e 30 total­mente in nero (55%). I prov­ve­di­menti ammi­ni­stra­tivi sono stati 91, per un importo delle san­zioni pari a 137 mila euro».
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti
il manifesto, 5 novembre 2015

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