Un viaggio a Rosarno. Per vivere la realtà

Un bambino figlio di uno stupro, ha visto la luce di recente in un C.A.S. della provincia di Cosenza. La madre centrafricana, nera. Lui mulatto come il criminale che l’ha violentata in uno dei lager libici in cui la donna è stata detenuta e dove migliaia di altre subiscono la stessa sorte. La ragazza voleva attraversare il Mediterraneo. Aveva preso contatti con un’intermediaria a Tripoli, che in cambio di denaro le ha promesso un posto su un aereo di linea. Ma giunta in Libia, la sventurata è stata data in affitto dall’intermediaria a un gruppo delinquenziale che pretendeva si prostituisse. La ragazza si è ribellata ed è stata arrestata dalle autorità libiche. Così la detenzione è divenuta calvario. Rilasciata dopo un mese, è riuscita ad arrivare in Italia con un barcone.
È solo una delle infinite tragedie che si stanno consumando a pochi passi dalle nostre esistenze. Quando non sono i muri a bloccare i migranti, a confinarli nel nulla pensano le xenofobie. Negli ultimi mesi, più volte è successo che ragazze incinte, bambini disperati, malati, anche in Calabria hanno incontrato gruppi di cittadini ostili che presidiano il territorio e si oppongono all’accoglienza dei “niguri”. Sono gli stessi cittadini che, nella maggior parte dei casi, subiscono le mafie, bevono acqua inquinata, abitano territori devastati dalle multinazionali e non dicono una parola, che sia una, contro le famiglie della politica calabrese, da sempre impegnate a depredare risorse pubbliche, costringendo migliaia di nostri conterranei all’emigrazione o alla sottomissione. Se si vuole capire quanto stia dilagando anche tra i calabresi il senso di insicurezza derivante dai flussi migratori, è molto utile un volume pubblicato di recente da Rubbettino, dal titolo “Discriminazioni e antidiscriminazioni in Calabria”, curato da Anna Elia e Pietro Fantozzi. “Gli extracomunitari presenti in Calabria sono poco più di due per ogni cento abitanti ma, comunque, c’è la percezione che gli stranieri siano troppi, (…) quasi 8 intervistati su 10 sono pronti a giurare che dietro ogni angolo di strada si apposti uno straniero”. Nella graduatoria sulla percezione della pericolosità dei diversi gruppi di immigrati, come da secoli avviene, il primo posto è occupato dagli “zingari”, ai quali i calabresi attribuiscono una pericolosità pari a un 7,81 di voto medio: “(…) un classico esempio – scrivono gli autori della ricerca – di un capro espiatorio verso cui indirizzare l’origine di tutte le paure e insicurezze che vengono prodotte nella vita di ogni giorno”.
Le fobie dei calabresi trovano sì ispirazione “nei discorsi giornalistici e televisivi”, ma soprattutto nei fake di cui pullulano i social, dinanzi ai quali la stragrande maggioranza degli utenti è priva di qualsiasi strumento critico di decodificazione. Così, oltre alla feudalità dei rapporti sociali che da un millennio e mezzo caratterizza la società delle Calabrie, la subcultura del pregiudizio ci lascia sprofondare ancor di più in un medioevo da incubo. Per coloro i quali si ostinano a negare il valore strumentale della xenofobia, un viaggetto nella tendopoli di Rosarno sarebbe un’esperienza salutare. Bisognerebbe accompagnarvi in visita guidata pure gli alunni delle scuole. Al modello di alternanza scuola-lavoro si potrebbe sostituire una più proficua alternanza scuola-realtà, se anche il nostro sistema educativo non fosse calato nel medioevo.
Claudio Dionesalvi
“l’Abbraccio” febbraio/marzo 2017

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