Ad Arghillà di Reggio i pregiudizi anti rom li spacciano a scuola

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Non ci si lamenta spesso che gli «zingari» non mandino i figli a scuola? Che disertino il percorso educativo per andare a chiedere l’elemosina? Che non accettino di integrarsi, anzi che in quanto cosiddetti «nomadi» risulterebbero non includibili, e che non lo sarebbero in quanto non legati ad un territorio. Quindi che si tratti di soggetti etnicamente “asociali”.
Nient’altro che pregiudizi! Nient’altro che stereotipi ovvero barriere mentali che noi stessi costruiamo. Poi andiamo ad Arghillà, quartiere dormitorio di Reggio Calabria, e scopriamo che questi luoghi comuni sono radicatissimi, difficili da estirpare persino nelle istituzioni scolastiche, dove in mezzo a tanti insegnanti accoglienti, che operano con impegno, passione e professionalità, può serpeggiare il virus xenofobo.
MENTRE SI CELEBRA don Lorenzo Milani nel centenario dalla nascita, nella scuola pubblica si continua ad emarginare gli alunni «indesiderati». Negli istituti di istruzione privata il problema neanche si pone: entrano soltanto alunni provenienti da famiglie che possono permettersi di pagare le rette per iscriverli.
E COSÌ I MINORI ROM non subiscono solo l’emarginazione abitativa, ma anche quella scolastica, con un processo di colpevolizzazione e di inferiorizzazione. Accade dovunque, in Calabria come nel resto d’Italia, si siano insediati nel corso del tempo i rom divenuti stanziali da ormai tanti decenni: nei rioni meridionali di Catanzaro, alla Ciambra ed a Timpone Rosso nelle piane di Gioia Tauro e Sibari, Scordovillo a Lamezia, San Vito a Cosenza, ad Acquabona a Crotone.
A Reggio galeotto fu il Rav, il famigerato Rapporto AutoValutazione che il sistema scolastico italiano impone alle scuole di redigere, costringendole a scimmiottare logiche e strumenti d’azienda. Un vero e proprio lapsus. Come se i ristoratori fossero chiamati periodicamente ad autorecensirsi e qualcuno di loro riconoscesse la scarsa qualità dei propri piatti. In un imbarazzante eccesso di sincerità, infatti, il Rav della scuola reggina del quartiere di Arghillà dichiara che i 127 ragazzi in età scolare, che vi abitano, rappresentano un problema per la didattica. Alla pagina 36 del documento pubblicato dall’Istituto Comprensivo “Radice – Alighieri” viene messo nero su bianco che: «Nella scuola la forte presenza di alunni di diversa etnia e rom distribuiti, come da scelte di Istituto, in tutte le classi, rallenta i tempi di raggiungimento dei livelli ottimali di apprendimento generale, nonostante l’impegno di tutta la comunità scolastica».
SECONDO MOLTI ESPERTI di prevenzione del fenomeno dell’abbandono scolastico, applicando la strategia del capro espiatorio, con questa dichiarazione la scuola scarica sugli alunni rom, ma pure sulle altre «etnie», tutte le responsabilità dei ritardi negli apprendimenti dei suoi alunni. Responsabilità che chiaramente sono dello stesso sistema scolastico nel suo insieme. Le reti sociali reggine denunciano l’accaduto. «Secondo le disposizioni del ministero dell’Istruzione la scuola non dovrebbe utilizzare i dati etnici degli alunni, tantomeno utilizzarli per un trattamento inferiorizzante e colpevolizzante. Le scelte dell’istituto violano le disposizioni Miur sui dati etnici, la nuova Strategia nazionale di inclusione dei rom, diverse norme e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza», afferma l’associazione “Un mondo di mondi” che insieme all’European Roma rights centre (Errc) ed all’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha formalizzato il proprio indignato disappunto a questo Istituto comprensivo, al comune di Reggio Calabria ed a tutte le istituzioni preposte, segnalando i contenuti dei documenti di questa scuola e le tre classi a prevalenza rom. E richiedendo i necessari provvedimenti. Tutto questo già da un anno.
DA ALLORA, POCO O NULLA è cambiato. La dirigente del “Radice – Alighieri”, Simona Sapone, contattata da il manifesto, nel ribadire la propria disponibilità ad un confronto sereno con i responsabili dell’associazione “Un mondo di mondi”, sottolinea che «non si possono estrapolare parole o frasi, togliendole da un più ampio contesto che fa parte di documenti articolati e complessi». E respinge le accuse. «Il territorio su cui insistono i plessi dell’Istituto comprensivo fa parte di un’area “a rischio” dove, purtroppo, è in aumento il numero di persone che vivono in condizioni di disagio socio-economico e in cui, soprattutto, i minori sono i soggetti più fragili e indifesi». Rammenta, inoltre, che «nessuna segnalazione di discriminazione è mai arrivata all’ufficio scolastico competente da parte dei genitori di tali alunni». Segnala infine che la sua scuola ha attuato strategie di inclusione, a partire proprio dalla formazione dei docenti mediante il progetto “Rom Sinti Camminanti”, realizzato con gli esperti dell’Istituto degli innocenti di Firenze. Nell’attività di prevenzione della dispersione scolastica, attenendosi al progetto “Ali spiegate contro la dispersione scolastica … un fenomeno da contrastare 2 ”, è stato realizzato un monitoraggio costante delle assenze.
PUR TUTTAVIA SONO TANTI ANNI che le associazioni antirazziste evidenziano la complessità del fenomeno discriminatorio e la sua estensione in termini sociali e geografici. «Sono i rom che non mandano i figli a scuola… è la loro cultura, si alzano tardi, sono pigri dalla nascita… per colpa loro, le famiglie italiane non iscrivono i figli in certe scuole», simili frasi si rincorrono sulle bocche di tanti insegnanti italiani.
La consapevolezza che dietro tali affermazioni regni tanta ignoranza ha spinto di recente l’”Associazione 21 luglio” di Roma a distribuire tra i docenti un kit di strumenti per “Promuovere la comprensione di come il pregiudizio in atto nei confronti di Rom e Sinti affondi le sue radici nel trattamento storico riservato loro dalle dittature nazista e fascista, ma anche nei primi anni della Repubblica, attraverso ad esempio l’istituzione delle classi speciali “Lacio Drom” (in lingua romanes significa “Buon viaggio”) serve ad aumentare la conoscenza di quel periodo per superare i pregiudizi odierni”.
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

il manifesto, 11 giugno 2023

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