Gli untori dell’idiozia

La malaria mi ha sempre impaurito. Mio padre l’ha avuta negli anni cinquanta, a Cosenza, dove all’epoca in tanti si ammalavano. La nostra era una città paludosa, prima delle bonifiche. I viaggiatori francesi del Grand tour, all’inizio del XIX secolo, raccontavano che Cosenza era interessante, progredita, aperta ai flussi commerciali, ma in estate diveniva spettrale perché i suoi abitanti dei rioni più bassi erano vittime della perfida zanzara.
Nel 1999 ho visto con i miei occhi padre Fedele Bisceglia più morto che vivo, a causa di questa patologia, al rientro da uno dei suoi tanti viaggi missionari. Lo salvarono ricoverandolo d’urgenza in un ospedale del nord.
Qualche mese fa, quando ero in procinto d’andare in Africa, mi ha convinto il mio amico Marco Cavalcante. Lui lavora col programma alimentare dell’ONU, nei luoghi più pericolosi e impervi tra Africa e Asia, e ha contratto due volte la malaria. “Cla’, non fare l’incosciente, la profilassi è un salvavita. Punto e basta”. Altrimenti, se non me l’avesse raccomandato Marco, nonostante mi sia vaccinato contro ben sette malattie, in Tanzania nella primavera scorsa con “La Terra di Piero” sarei andato senza prendere il Malarone. Perché è noto che provoca effetti collaterali come l’altro farmaco, il Lariam. “Vedrai, farai sogni in Technicolor”, mi aveva detto ridacchiando Giovannone, un altro amico che in Africa c’è stato per un bel po’ di tempo. In realtà poi m’è andata bene. A parte qualche incubo notturno e un risentimento intestinale che peraltro non posso attribuire con certezza al farmaco, il Malarone non mi ha provocato grossi disturbi. In Africa un amico cooperante internazionale s’è meravigliato quando gli abbiamo detto che stavamo assumendo le compresse antimalaria. E non perché secondo lui sia sbagliato seguire la profilassi: “ma perché è una malattia curabilissima, basta diagnosticarla in tempo. E i farmaci non costano tanto per le tasche di un europeo. Il problema ce l’hanno gli africani che non tengono i soldi per comprarli”.
Infatti sono gli stessi medici ad ammettere che la bimba trentina morta di malaria pochi giorni fa a Brescia, sarebbe vittima soprattutto di una diagnosi tardiva. Qualche anno fa, per tutt’altra patologia, all’ospedale di Cetraro un paziente s’è salvato perché a visitarlo è stato un giovane medico ricco d’intuito. Appena lo ha visto, s’è reso conto che quel risolino scemo sul suo volto, una specie di paresi della mandibola, era un sintomo già noto. Gli ha fatto l’anamnesi e ha scoperto che il paziente pochi giorni prima si era ferito lavorando nei campi, mentre maneggiava una canna di bambù. “Lei ha il tetano”. Nella vita, e soprattutto nelle malattie, ci vuole davvero un grosso Lato B. Il giovane medico s’era laureato qualche anno prima con una tesi di laurea… sul tetano. Non è andata così a tante altre persone. In Italia si muore ancora di tetano: 21 casi di decessi all’anno (fonte Corriere della Sera). Anche a me è accaduta una storia simile nel 2009. Stavo malissimo da una settimana; il medico di base, che pure è in gamba, mi stava curando con gli antistaminici, ma peggioravo di giorno in giorno. Fu la mia compagna, che medico non è, a suggerirgli: “Dotto’, ma non è che per caso Claudio ha la scarlattina?” Lui si precipitò a consultare un vecchio manuale e concordò: “Hai ragione”. In seguito mi sono convinto d’essere stato contagiato a scuola.
Abbiamo una vista troppo instagram, altrimenti spazieremmo con la comprensione del presente, allargando lo sguardo oltre la cornice. In questi mesi tutti si accapigliano sulla questione delle vaccinazioni obbligatorie, ma nessuno dice che nelle scuole italiane, per effetto dei tagli alla spesa pubblica e degli scaricabarile nelle competenze, non si effettuano più le vecchie disinfestazioni periodiche, quelle che fino agli anni ottanta erano obbligatorie, soprattutto dopo l’utilizzo degli edifici scolastici come seggi elettorali.
Abbiamo una memoria troppo snapchat, altrimenti ci ricorderemmo del caso di malaria endemica, registrato pochi anni fa a Rende (fonte TG3 Calabria). L’uomo non era stato all’estero nei mesi precedenti. E rammenteremmo anche la tragedia del 64enne deceduto nel 2014 all’ospedale di Cosenza, sempre per la stessa malattia non diagnosticata in tempo.
Nel medioevo, si dava la caccia agli untori che secondo le credenze popolari diffondevano la peste, perlopiù ebrei, ma non soltanto loro. Il capro espiatorio era individuato a convenienza: i musulmani in Spagna, mentre in Francia se la presero con gli odiati inglesi.
La peste in Europa la trasmettevano gli ebrei, il colera nei ristoranti è colpa dei napoletani, i pidocchi nelle scuole viaggiano sulla testa degli zingari, l’epatite in America la diffondevamo soprattutto noi calabresi, la malaria in Italia arriva con gli africani. L’idiozia xenofoba, la più letale e contagiosa, si propaga in ogni istante dalle edicole e sul web. Dunque, in ogni angolo delle nostre città e nel taschino di milioni di persone!
Un minimo di buonsenso ci farebbe comprendere che non bisogna per forza essere africani. A chiunque vada nei paesi tropicali, può capitare di tornare dal viaggio con una zanzara infetta nella valigia o una malattia contagiosa in corpo. Allora, per prevenire il contagio, la proposta è semplice: chiudiamo tutti gli aeroporti. E poi sbarriamo pure le edicole e disattiviamo il web. Perché da certe malattie tropicali, se diagnosticate in tempo, si può pure guarire. Ma il morbo dell’idiozia non dà scampo!
Claudio Dionesalvi

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