Calabria al voto, primo test

I numeri fanno impressione e confessano un’evidenza. Le mafie sono infiltrate nelle istituzioni, infettano gli enti comunali. Dal 1991 al 16 ottobre 2019 sono stati emanati 536 decreti ex art. 143 del testo unico sugli enti locali, che hanno disposto lo scioglimento dei municipi per condizionamento mafioso. Nel 2018 ci sono stati 23 scioglimenti, 15 nei primi dieci mesi del 2019. Si tratta dei comuni di Careri (Reggio Calabria, sciolto già nel 2012), Pachino (Siracusa), San Cataldo (Caltanissetta), Mistretta (Messina), Palizzi (Reggio Calabria), Stilo(Reggio Calabria), Arzano (Napoli, al terzo scioglimento), San Cipirello (Palermo), Sinopoli (Reggio Calabria, già sciolto nel 1997), Torretta (Palermo, sottoposto a scioglimento nel 2005, archiviato nel 2014), Misterbianco (Catania, già tra i primi enti sciolti nel 1991), Cerignola (Foggia), Manfredonia (Foggia), dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria (sciolta anche nel 2008) e dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. Tenuto conto che 65 amministrazioni sono state colpite da più di un decreto, gli enti coinvolti nella procedura di verifica sono stati finora 283: un’enormità. Sette di questi, dopo il periodo di commissariamento, tornano al voto oggi. Sono comuni calabresi, alcuni di essi veri santuari di ‘ndrangheta, territori famigerati dove le cosche sono stabilmente inserite in ogni settore politico, economico e finanziario.
ISOLA DI CAPO RIZZUTO. Il core business degli Arena negli ultimi anni era la gestione del Centro di accoglienza per migranti di Sant’Anna. A muovere i gangli mafiosi erano i vertici della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, attraverso l’appalto del servizio di mensa. Dal 2006 il malaffare ha assicurato proventi milionari attraverso un sistema di fatture gonfiate, documentanti prestazioni e costi totalmente o parzialmente inesistenti così da accaparrarsi la quasi totalità delle risorse stanziate per l’assistenza ai migranti. A ricostruire la penetrazione mafiosa nel Cara crotonese è il verdetto 4087 depositato dalla Cassazione il 28 gennaio. Erano Leonardo Sacco, governatore delle Misericordie e don Edoardo Scordio, parroco di Isola, gli insospettabili sodali delle cosche. Preparavano i bandi, assegnavano i subappalti, erogavano i pagamenti ai fornitori. Tra gli indagati figurava anche l’ex primo cittadino, Gianluca Bruno (Fi), motivo per cui il comune jonico è stato sciolto. È la seconda volta in vent’anni. Sono tre gli aspiranti sindaci: Raffaele Gareri, espressione della sinistra e comitati civici, Maria Grazia Vittimberga, candidata del Pd e di Calabria in rete (il movimento che fa capo alla consigliera regionale Flora Sculco, data in avvicinamento a Renzi) e Maurizio Piscitelli per il centrodestra.
LAMEZIA TERME. Ha il primato del mondo in materia. Mai una città di medie dimensioni era stata sciolta per tre volte. La ricca Lamezia è territorio prediletto dei clan. Signorie potenti e temute: Torcasio, Cerra, Iannazzo, Giampà. La città della piana ha una notevole importanza dal punto di vista agricolo, commerciale, industriale e infrastrutturale. Le ‘ndrine lo sanno e hanno le mani in pasta ovunque. Anche negli ospedali. Tanto è vero che anche l’Asp di Catanzaro e Lamezia è stata sciolta. Nella sentenza del 26 settembre il Consiglio di Stato scrive: «I collegamenti di molti degli amministratori comunali con la criminalità denotano una grave compromissione dell’ente con interessi di stampo mafioso». Ma il sindaco defenestrato non ammaina bandiera bianca. Paolo Mascaro si ricandida a capo di una civica di centrodestra. La destra tradizionale, invece, si è spaccata. FdI e Fi si affidano al promoter musicale Ruggero Pegna ma la Lega che dà forfait. «Bullo istituzionale», aveva detto Pegna a Salvini quando era ministro. E lui se l’è legata al dito. La sinistra punta su Rosario Piccioni, pupillo di Gianni Speranza, il sindaco della «primavera di Lamezia» dal 2005 al 2015. Il Pd presenta Eugenio Guarascio, imprenditore di Ecologia Oggi, azienda che gestisce la raccolta a Lamezia e Cosenza, e presidente del Cosenza Calcio. Completano il quadro il candidato di Casa Pound, Stefano Cristiano e il 5 Stelle Silvio Zizza.
CASSANO ALLO JONIO. Tra i cassanesi la gestione commissariale non ha lasciato un’ottima impressione. Lo scioglimento del consiglio per infiltrazioni mafiose, fortemente voluto due anni fa da Nicola Morra, oggi presidente dell’Antimafia, avrà forse ripulito il municipio da presenze inquinanti sul piano della legalità, ma non ha provocato miglioramenti qualitativi nell’amministrazione di un territorio vasto e carico di risorse. Anzitutto non sembra essersi attenuata la virulenza della criminalità organizzata. Le continue operazioni giudiziarie contro le ‘ndrine della Sibaritide non sono mai state accompagnate da politiche sociali volte a sottrarre manovalanza alla malavita. Così gli scompensi e i conseguenti riequilibri tra i clan sono avvenuti in termini militari. Al di fuori della saga mafiosa, restano in attesa di risposte concrete un’ottantina di lavoratori socialmente utili confinati in una condizione di precarietà, e c’è la perenne mancata valorizzazione delle risorse agricole, paesaggistiche ed archeologiche. Il sito dell’antica Sibari rientra nel territorio di Cassano allo Jonio ma rimane marginale e degradato. Le produzioni di olive, agrumi, riso e pesche meriterebbero maggiore tutela per esaltarne la tipicità e i forti legami con la cultura locale. Estromessi per decenza i simboli dei partiti, i circa 13mila elettori dovranno scegliere tra le liste civiche allineate dal socialista Giovanni Papasso e dal suo avversario Francesco Lombardi. Allievo del vecchio leone socialista Salvatore Frasca, Papasso è stato sindaco nel consiglio sciolto per «contaminazioni mafiose». Lombardi, è uno degli ex sostenitori di Papasso da cui si è allontanato per avvicinarsi al democristiano Gianluca Gallo, già sindaco e consigliere regionale Udc, migrato un anno fa in Forza Italia.
SI VOTA ANCHE nei comuni di Brancaleone, Petronà, Cropani e Marina di Giojosa. Solo in quest’ultimo centro la popolazione residente supera i 5mila abitanti. Complessivamente si tratta di 140 mila elettori, un test anche in vista delle elezioni regionali del 26 gennaio. «Anche se la politica regionale ha rimosso questi comuni sciolti per ‘ndrangheta dalla propria agenda – rimarca l’ex senatore lametino Nuccio Iovene – sembra che non importi a nessuno che queste comunità ritornino alla regolare vita democratica. Ad ogni modo è certamente un minitest, una sorta di primaria interna agli schieramenti che inciderà sulle regionali. Per capire davvero se, come sembra, la destra si riprenderà la regione».
Claudio Dionesalvi, Silvio Messinetti

il manifesto, 10 novembre 2019

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