Una civiltà tutta da scoprire

Se fosse una “bufala”, meriterebbe di finire nel guinness dei primati. Ma se la storia raccontata dall’architetto Domenico Canino si rivelasse vera, gli storici avrebbero molto da lavorare. E i locali responsabili della tutela del patrimonio archeologico sarebbero costretti a nascondersi dalla vergogna.
Canino è un appassionato di storia, arte ed archeologia, uno di quei giovani studiosi che non si limitano a visitare il già visto, bensì puntano a scoprire piccole e grandi verità, laddove la “scienza ufficiale” esplode in fragorose risate.
“Il 31 dicembre 1971, a Girifalco, paesino collinare della Calabria a metà tra Jonio e Tirreno, una incredibile alluvione dovuta a più di venti ore di pioggia ininterrotta e copiosa, provoca forti smottamenti nei terreni limitrofi fino al centro abitato. Cessato il diluvio – spiega Canino – l’avvocato Mario Tolone Azzariti, per conto di alcuni proprietari terrieri, viene incaricato dei sopralluoghi per la stima dei danni ai terreni. Nel corso di queste visite, nella zona di Caria, dove si sono verificate grandi frane e si sono create ampie fratture nel terreno, l’avvocato rinviene una testa di terracotta antropomorfa che reca alcune iscrizioni incise in caratteri indecifrabili”.
A questo punto, il pensiero va al mito di Atlantide ed alla civiltà pelagica che secondo alcuni studiosi sarebbe all’origine di molti degli antichi popoli mediterranei:
“L’avvocato Tolone Azzariti ha una solida cultura classica, sviluppatasi in anni di studio nelle biblioteche storiche e nel Museo archeologico Nazionale di Napoli, ma non ha mai visto oggetti di tale fattura, non sono di epoca magno-greca, ma neppure fenici o romani… Fortemente incuriosito dal misterioso oggetto, allarga il raggio della ricerca a tutte le aree del circondario a caccia di altri reperti poiché, se di una nuova civiltà vera e propria si tratta, ci devono essere molti altri segni di presenza. Per i successivi 20 anni – prosegue Canino – l’avvocato non avrà pace, dedicherà tutto il suo tempo libero e molte risorse economiche, allo scavo ed alla ricerca di altri reperti di questo antico popolo italiota. La ricerca si rivela fruttuosa, i ritrovamenti sono copiosi, alcune centinaia addirittura”. Quella frana, dunque, avrebbe fatto riemergere dal passato una civiltà sconosciuta: “ciotoli incisi con strani caratteri (petroglifi), splendide sculture in pietra calcarea rappresentanti donne con pettinature raffinatissime, una splendida statua di pietra calcarea rappresentante una donna che è trascinata da un enorme toro che volge la testa all’indietro, molto simile a quello presente sulle monete dell’antica Sibari”.
Di questi ritrovamenti l’avvocato Tolone Azzariti avrebbe informato prontamente la Soprintendenza archeologica della Calabria, sin dalla prima fase di scavo, “per ottenere aiuti nella ricerca e soprattutto ausilio nella decifrazione e datazione dei reperti. Ma la Soprintendenza, nonostante abbia nel tempo effettuato numerose ispezioni, si è sempre astenuta da pareri ufficiali per quanto riguarda le datazioni, non fornendo così alcun sostegno né economico, né di ausilio agli studi per la ricerca storica sui reperti”. In almeno una circostanza, l’avvocato Tolone Azzariti è stato tacciato di falso. “Si tratta – spiega Canino – di una statua di terracotta di circa 18 cm di lunghezza raffigurante uno strano sauro con delle placche sulla schiena. Le placche sono triangolari e scorrono lungo il dorso sino alla coda. La vista dall’alto dell’oggetto rivela una strana piegatura delle placche, come se l’animale fosse stato raffigurato in movimento sul terreno. Le zampe sono grosse e goffe, come di un animale di grande stazza e non simili a quelle di una lucertola o di altro sauro moderno, come il tritone crestato o altri tipi di salamandra cui la scultura è stata accostata. Non esiste alcun tipo di salamandra o sauro tipo iguana tra le specie attualmente conosciute, che abbia delle placche simili ed allora basta prendere un qualunque manuale di paleontologia e ci si rende conto che l’animale raffigurato nella scultura appartiene alla specie degli stegosauri, una specie di dinosauri con le placche che gli scienziati affermano essersi estinta circa 65 milioni di anni fa”.
Insomma, al di là delle suggestioni che una simile trama può evocare, è certo che a Girifalco qualcosa di strano è avvenuto. I reperti che sarebbero stati recuperati in loco, come la tomba di Alarico a Cosenza e l’elefante di Campana, sono solo alcuni tra gli infiniti esempi di una storia che l’archeologia accademica calabrese ha rinunciato ad approfondire. E non è casuale che sia stata una ricercatrice olandese, Marianne Maaskant, a scoprire poco distante dallo Jonio cosentino i resti dell’antica Lagaria, città fondata dal mitico Epeo, costruttore del cavallo di Troia.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 16 novembre 2005

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