Coronafake e psicosi untori

Bufale spaziali e figuracce galattiche in Calabria

a cura di Simone Guglielmelli e Claudio Dionesalvi
Da sempre le pandemie rendono l’umanità più stupida e cattiva. Ce lo spiegano i libri di storia. In mezzo ai tanti gesti di solidarietà e reciproco soccorso, si moltiplicano anche l’egoismo e l’aggressione al diverso. Odio e xenofobia proliferano nella paura. È noto che le fake news non nascono solo dall’ignoranza o dalla mente lisergica di qualche mattacchione. C’è chi ne fa un uso politico, chi le sfrutta per interessi economici. Ci sono vere e proprie centrali internazionali di fake-produzione.
Negli ultimi due mesi, diversi giornali hanno dedicato intere rubriche al tema delle bufale da coronavirus. Si discuterà ancora a lungo dei presunti legami tra Covid19 e tecnologia 5G, nonché di questa pandemia come possibile esito di una guerra batteriologica. Una cosa è certa: la psicosi, le pseudo verità e l’hate speech sono fenomeni di carattere globale. La Calabria ne è investita come ogni altro angolo del pianeta. È confortante, ma rimane pur sempre un’amara consolazione, il fatto stesso di essere solo una piccola parte, nemmeno la più arretrata ed esposta, di un mondo credulone e in malafede. Qui riportiamo alcuni dei casi più eclatanti:
SAN LUCIDO SOTTO ASSEDIO… DELL’IDIOZIA
San Lucido è una piccola cittadina di circa 6mila residenti, situata lungo la costa tirrenica meridionale cosentina. Nel periodo estivo, con l’arrivo dei villeggianti e degli emigrati, il numero degli abitanti si moltiplica. Nell’ultimo periodo è salita agli onori della cronaca a causa del covid-19. Il 17 marzo la presidente Santelli ne dispone la “chiusura”. È stata la seconda zona rossa della Calabria, dopo Montebello Jonico. La causa è da ricercarsi nell’alto numero di persone che hanno contratto il virus. In questo contesto si diffonde, finendo sulla bocca di tutti i calabresi, una notizia che poi si rivelerà falsa, smentita dai diretti interessati attraverso un accorato messaggio:
Sta girando in queste ore la falsa notizia che a San Lucido in ricorrenza dell’8 marzo sia stata organizzata una mega festa di 400 persone, e i responsabili sarebbero i familiari della persona che si trova attualmente ricoverata all’ospedale Annunziata di Cosenza. La persona in questione, “il parrucchiere”, giorno 5 marzo, appena ha avvertito i primi sintomi si è messo in isolamento avvisando chi di competenza ed è stato ricoverato l’11 marzo. La vicenda ha del surreale, e sta circolando in modo frenetico tramite social. L’equivoco, stando alle prime ricostruzioni, sembra esser nato da un post su facebook dell’anno precedente (2019) che ricordava il festeggiamento dell’8 marzo di un gruppo di donne. In questi momenti difficili, questa situazione non fa altro che aumentare panico ed emarginazione, proprio ora che ci sarebbe più bisogno di collaborazione da parte di tutta la popolazione. Con questo messaggio vogliamo appellarci al buon senso delle persone e le invitiamo ad affidarsi solo a comunicati ufficiali e ricordando che alcune affermazioni sono perseguibili dalla legge. Firmato: Luca Intrieri, Angela Ricioppo”.
A San Lucido la psicosi generale favorisce il propagarsi di un’ulteriore fake news. La dipendente di un noto supermercato sarebbe risultata positiva alla Covid19. Continuando a lavorare, avrebbe diffuso il virus. Anche in questo caso arriva puntuale e immediata la smentita.
E sempre a proposito degli abitanti di San Lucido, vittime di una psicosi collettiva, appare eloquente la testimonianza di questo signore:
Intanto, nei paesini dell’entroterra, come nelle città di piccole o medie dimensioni, si scatena la caccia agli appestati. E i social si riempiono delle giuste repliche di chi non si rassegna a subire, affidate a messaggi come questo:
CATANZARO, ASPETTANDO I MONATTI
Nel passato remoto, in tempi di epidemia, i monatti erano addetti pubblici, incaricati di trasportare malati e cadaveri. Allarmati dalle prime voci di un contagio o un decesso, capitava talvolta che i vicini di casa di un presunto appestato ne invocassero il suo immediato allontanamento, chiedendo l’intervento dei monatti. La lettera aperta di questa signora, moglie del primo paziente positivo a Catanzaro, dimostra quanto sia triste un mondo tormentato dai sospetti.
“Hanno scritto sui giornali e detto delle cose indegne sul comportamento mio e di mio marito. Al rientro da Campitello di Fassa, abbiamo chiamato a tutti i numeri predisposti (Regione – ASP – P.S. Ospedale – Forza Pubblica). Tutti ci hanno risposto che la località in cui eravamo stati non era qualificata come zona rossa, perciò ci hanno detto di rivolgerci al medico di famiglia. È stata diagnosticata una broncopolmonite e a mio marito è stata prescritta una terapia antibiotica iniettiva. Peggiorando la sua situazione, essendo stati lasciati soli, ho cercato di assistere mio marito con una bombola di ossigeno. Viste le sue disperate condizioni, ho chiamato il 118, avvisandoli della possibilità del contagio. I sanitari intervenuti, senza alcuna protezione, solo con la mascherina, dopo avergli messo la mascherina anticontagio hanno portato mio marito al PS, con codice rosso. Qui è stato visitato dal consulente medico del reparto Malattie infettive, ma nonostante ciò hanno rifiutato di fare subito il tampone ed è stato ricoverato nel reparto senza alcuna precauzione. Qui il giorno dopo è stato messo in una stanza con un’altra persona. Il 3 sera gli hanno fatto il tampone. Nel frattempo, aveva finito l’ossigeno e ho dovuto gridare per avere assistenza. Solo dopo due ore ha avuto l’ossigeno. Mio marito con tutto il letto è stato poi portato in una stanza singola, a pressione negativa. Solo al terzo giorno è iniziata la terapia di protocollo, ma non sappiamo se fosse il protocollo suggerito dallo Spallanzani. È stato isolato, senza alcuna assistenza, lasciato con un telefono a disposizione per chiamare l’infermeria, un numero al quale non risponde nessuno né dall’interno né dall’esterno. La notte trascorsa ha subìto l’umiliazione di restare nei suoi escrementi e nel letto sporco nudo e coperto con un mezzo lenzuolo, gli è stato detto che forse una volontaria sarebbe andata a soccorrerlo. Io e mio figlio non abbiamo avuto nessuna notizia da parte dei sanitari. Abbiamo appreso dal telegiornale che era positivo al coronavirus. Gli infermieri del P.S. e del Reparto di Malattie infettive, che avrebbero dovuto tutelare i diritti del malato e la sua privacy, hanno divulgato, senza nemmeno nascondere la loro identità e professione, il nome del malato, la sua malattia e il nome dei familiari. La reputazione di mio cognato, pediatra, è stata compromessa. A me è stato impedito il ritorno a casa, dalla folla dei giornalisti e dei vicini sotto. Sono dovuta restare in ospedale nel reparto di Malattie infettive, senza alcuna assistenza. Non mi hanno fatto alcun tampone. Il giorno dopo, non potendo rientrare a casa, sono stata ospite del medico di famiglia, come me in autoquarantena. Ci hanno fatto il tampone solo nel pomeriggio. Stamattina ho appreso dal Tg3 che sono positiva al coronavirus. Nessun sanitario mi ha contattato. Le grida dei vicini e degli abitanti del palazzo mi hanno costretto ad abbandonare la casa del medico di famiglia che mi ospitava. Sono rimasta sola a piangere nella mia macchina davanti al porto di CZ Lido finché la polizia non mi ha scortato a casa mia, dove sono rinchiusa senza alcuna assistenza. Mi domando come possa considerarsi Stato Civile quello in cui vivo, dove i più elementari diritti di tutela del malato sono violati, dove le informazioni riservate vengono date in pasto al pubblico ludibrio e non agli interessati. Mio figlio, che sta a Londra, sono tre giorni che tenta di contattare i referenti del Reparto di malattia infettive, abbiamo dovuto rivolgerci a dei legali per ottenere quello che in un Stato di diritto è dovuto, tutela della nostra dignità. Mi vergogno di appartenere a questa Città e mi preoccupo per la sorte di tutti quelli che dopo me potrebbero subire lo stesso trattamento inumano, mi hanno trattato come un’appestata, hanno gridato che andassi via dalla casa del mio medico di famiglia, nei messaggi vocali su whatsapp hanno insultato mio marito perché andava in giro ad appestare i catanzaresi. Alcuni di loro, certo, hanno dimenticato cos’è la “pietas” .
RENDE, L’OSSESSIONE CINESE
Il 31 gennaio il coronavirus è, per opinione pubblica, governo e comunità scientifica, un affare cinese. Per molti sarebbe una “influenza” facilmente neutralizzabile semmai arrivasse in Italia. Proprio in quella data si sparge la voce, attraverso un messaggio whatsapp, di un presunto caso di Covid19 in un centro commerciale di Rende. Gli untori sarebbero stati alcuni cinesi in tour, con un bus, in Calabria. Nonostante la notizia fosse assolutamente grottesca, il direttore del centro commerciale si affretta a smentirla:
Coronavirus al Metropolis di Rende, è una fake news.
Il contenuto dell’audio che si sta diffondendo in queste ore su WhatsApp è falso e non attiene minimamente alla realtà. Solo inutile allarmismo
RENDE – Dilaga su WhatsApp l’audio di una donna che invita i familiari a non recarsi al centro commerciale Metropolis di Commenda, perché sarebbe stato chiuso dopo l’arrivo di un bus di cinesi. Non solo la notizia è completamente falsa, ma sta creando inutili e falsi allarmismi tra i cittadini dell’area urbana. Il direttore del centro commerciale Giuseppe Belmonte, già al corrente dell’audio “bufala” in circolazione, ha smentito categoricamente la notizia, confermando l’apertura di tutti i negozi e la presenza di tanti visitatori.
La redazione di QuiCosenza invita i cittadini ad avere sani e civili comportamenti di buona educazione per evitare il propagarsi di qualsivoglia virus influenzale ed evitare forme di razzismo becero nei riguardi della popolazione cinese a cui in questo momento va tutta la solidarietà per quanto sta accadendo nella città di Wuhan”. 
COSENZA, FIGURACCIA VIRALE
In città, come ovunque, serpeggia il terrore che genera pure qualche allucinazione collettiva. Le voci relative ad avvistamenti di persone affette da Covid19 si concentrano soprattutto sui supermercati che attraggono maggiore clientela, forse messe in giro ad arte dalla concorrenza. Non mancano le notizie prive di fondamento, divulgate senza malafede, ma non per questo meno basate sulla credulità del momento. Il caso più eclatante vede protagonisti, il 10 marzo, la rispettabilissima testata quicosenza.it e il sindaco della città, Mario Occhiuto. Il portale online riporta la notizia della morte di un uomo, informatore scientifico residente a Rende, affetto da Covid19. Immediatamente il primo cittadino espone da Palazzo dei Bruzi l’effigie della Vergine del Pilerio, patrona della città, annunciando la prima vittima del virus e chiedendo protezione alla Madonna.
Immediata la replica di un autorevolissimo medico dell’ospedale di Cosenza, il Dottor Pietro Morrone:
Mentre la testata giornalistica fa ammenda, il sindaco corre ai ripari modificando il post su facebook
Purtroppo, il paziente morirà circa 15 giorni dopo.
CROTONE, STRANI AVVISTAMENTI AL CIMITERO
Mentre nel resto del mondo si scatenano gli scopritori di complotti e si moltiplicano gli incontri più o meno ravvicinati con astronavi aliene, in Calabria si preferisce volare basso. A Crotone qualcuno spinge la propria immaginazione fino ai cancelli del cimitero dove, come in un fumetto di Dylan Dog, appaiono sinistre visioni che invadono la fantasia collettiva. La testata on line crotonenews pone il problema della tenuta psicologica dei crotonesi:

Crotone, falsa notizia su un suicidio: la psicosi del Coronavirus mette a rischio la tenuta psicologica

REGGIO CALABRIA, LO STARNUTO KILLER
È noto che i reggini sono dotati di estrema praticità. Parole poche, tanta concretezza. Dinanzi alla minaccia di un contagio per futili motivi, innervosito anche dal timore di un’imminente chiusura di sale giochi, ricevitorie e agenzie di scommesse, qualcuno decide così di passare alle vie di fatto.

Psicosi Coronavirus a Reggio Calabria: starnutisce mentre è in fila al Matchpoint, scoppia rissa tra anziani [DETTAGLI]

VIBO, SCUOLA SOTTO ATTACCO
Sembrano ormai un ricordo romantico e sbiadito i tempi in cui per marinare la scuola vi si spargeva nottetempo la creolina o durante le lezioni una telefonata anonima annunciava la presenza di una bomba. Adesso basta pronunciare la formula magica “positività al coronavirus” e il panico è assicurato. Così i dirigenti scolastici, piuttosto che attivare sistemi notturni d’allarme, sono costretti a tenere d’occhio soprattutto il web.

Psicosi coronavirus, fake news a Vibo: “Nessun caso al Liceo scientifico”

RIENTRI ANSIOGENI DAL NORD
Vittime dell’odio social, in questi mesi, sono stati i meridionali che per studio e lavoro vivono nelle regioni del nord e che rientrano nelle città d’origine appena il governo annuncia la “chiusura” della Lombardia, la notte tra il 7 e l’8 marzo. Le immagini della stazione ferroviaria di Milano presa d’assalto, nel cuore della notte, fanno il giro del mondo. La testata Il Fatto di Calabria pubblica un’immagine dell’autostazione di Cosenza affollata da migliaia di persone. Il titolo lascia poco spazio a dubbi “Fuga da Milano, Cosenza piena nel cuore della notte”. Lo scatto, però, è d’archivio, si riferisce infatti alle ripartenze verso Nord  dopo le feste natalizie.

Fuga da Milano, autostazioni in ansia nel cuore della notte

 

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