Benvenuti a “Chinatown”

Sono già tanti, ma sembrano trasparenti. Si sta allargando la Chinatown cosentina. È un flusso recente di immigrati taciturni, schivi ed eternamente laboriosi. Numericamente, stanno crescendo a vista d’occhio. Ai piedi del colle Pancrazio i cinesi sono una presenza talmente discreta, che qualunque approccio con loro è difficile. Si fa fatica a rompere il ghiaccio. Su fazzoletti bianchi, spalmano mercanzie da paese dei balocchi. Vendono oggetti bizzarri, che fanno gola soprattutto ad acquirenti di sesso femminile. I gadget di Pokemon e Digimon ipnotizzano i bambini. Ma è frequente imbattersi in qualche signore attempato che chiede uno sconto per portarsi a casa un pupazzo o un cannocchiale.
Gli ambulanti orientali, con i loro ossi di seppia del mercato globale, si sono ritagliati in città nicchie di marciapiede che si alimentano del consenso degli stessi commercianti cosentini. È una specie di solidarietà strategica, contro gli ipermercati. Gli esercenti locali hanno capito che per fronteggiare l’offerta variegata dei grandi centri commerciali, bisogna stringere alleanze con i piccoli venditori. E può capitare di imbattersi in simpatici quadretti sociali. Come in viale Alimena, dove la signora del negozio all’angolo offre da mangiare a Ziang Wiei Jiang, 21 anni, nativo di un  paesino vicino Shangai. Studente di Farmacia, borsista presso l’università della Calabria, ama fare l’ambulante più per passione che per necessità. Wiei Jiang non smette mai di sorridere e parlotta un italiano comprensibile, condito dall’immancabile “r” liquida: “Vuoi sapele quanti siamo nell’alea ulbana? Almeno centocinquanta”. Un dato significativo, che se confrontato con le stime ufficiose degli organi competenti e delle associazioni preposte all’assistenza dei migranti, fotografa bene la realtà. Sul totale delle presenze, un buon 50 per cento è coperto da regolari permessi di soggiorno. Ogni gruppo etnico insediato nel territorio cosentino, sopravvive grazie ad una particolare attività lavorativa. I nordafricani improvvisano bancarelle e stazionano ai semafori. Polacche e filippine si dedicano ai servizi domiciliari agli anziani. Molti moldavi sono stati assorbiti dai cantieri, così come gli albanesi che si ritrovano in un bar di via Rivocati. I cinesi, invece, sono ambulanti. E qualcuno lavora nei ristoranti tipici. Un milione e quattrocentomila al mese di stipendio per i cuochi. Un milione ai camerieri. E poi ci sono i grossisti di gadget e vestiti. Negli ultimi tre mesi hanno preso in affitto magazzini in corso d’Italia, Bosco de Nicola e contrada Sant’Agostino a Rende. Sono loro che riforniscono gli ambulanti. Un’attività limpida ed onesta. In provincia di Cosenza, fortunatamente, non esistono ancora le fabbrichette seminterrate che nel centronord schiavizzano migliaia di giovani lavoratori orientali. Nella Chinatown bruzia non è ancora penetrato il tritacarne dello sfruttamento, che purtroppo ha già afferrato tante ragazze provenienti dall’Est europeo, svendute sul mercato della prostituzione. Gli unici a fare soldi a palate sono gli affittacamere. I cinesi pagano 400mila lire al mese di affitto, a cranio. E negli appartamenti del centro vivono stipati come sardine. Ma alternative ne hanno poche. Meglio restare a vivere qui. “Pelché Cosenza è accogliente. I poliziotti ulbani non sono cattivi e la gente ci tlatta bene. In altle città non è così”.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 21 dicembre 2001

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