Ormai cliché cristallizzato (Introduzione a “I caminanti” di Francesco Caravetta

I vari volti dei rom tra ieri ed oggi. Un ebook Teomedia
Il pregiudizio diffuso nei confronti di una controversa minoranza quale quella dei rom – tradotto nell’ennesimo stigma della criminalità e mafiosità – caratterizza lo scenario sociale degli ultimi tre decenni. Questo luogo comune, infatti, si palesa ciclicamente nei numerosi misfatti commessi, che contribuiscono ad etichettare lo zingaro come il «deviante per antonomasia». Partire da episodi di vita passata, ma non poi così tanto lontani dai nostri giorni, attraverso un lavoro volto alla ricerca sociologica, con l’obiettivo di dare fondamento a pregiudizi ereditati dal passato e ben radicati nella modernità. È questo il lavoro svolto da Francesco Caravetta nell’ebook I caminanti. Quando gli zingari rubavano le galline (Teomedia, € 4,99). Due notevoli apparati accompagnano il testo: la Prefazione di Cesare Pitto – docente di Antropologia culturale –, che ci invita a seguire la traccia dell’autore nello scorrere gli atti giudiziari del panorama sociale meridionale; e l’Introduzione del giornalista Claudio Dionesalvi, che si propone di investigare come, su migliaia di famiglie rom oneste, venga scaricata la colpa di crimini organizzati «che sono bastati a condannare in eterno un’intera popolazione dagli occhi orientali e dalla pelle scura». Qui di seguito riportiamo le rispettive porzioni testuali. Bottega editoriale
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Introduzione Oggi sono gli spam, l’algoritmo di facebook, i call center e le televendite a pilotarci. Fino al secolo scorso era l’immagine delle donne rom a presidiare la porticina che nel cervello spesso si apre e ci rende vulnerabili dinanzi alla persuasione occulta. Ma al contrario degli zingari, vittime di pregiudizi antichi e incarnazioni di quella robusta dose di male che preferiamo immaginare estraneo alle nostre esistenze, dell’invadenza dei persuasori digitali fingiamo di non essere consapevoli. Preferiamo lasciarci dirottare verso scelte e consumi indotti, così compiamo azioni in apparenza vacue, ma in realtà molto remunerative per le multinazionali. Gesti che conferiscono una cittadinanza illusoria nel supermercato globale che ci ospita. Eppure gli zingari, nonostante di fatto siano stati sostituiti da ben altre entità ipnotiche nel ruolo di persuasori fraudolenti, anche per effetto delle robuste campagne politico-mediatiche a loro danno continuano a rappresentare una catartica ossessione per la società occidentale. Al ruolo di presunti ingannatori incalliti si sono aggiunte xenofobe leggende urbane che li dipingono come sequestratori di bambini nei centri commerciali e ladri di lenzuola appese ai balconi. Se in giro ci fosse ancora una qualche peste bubbonica da diffondere, di sicuro si attribuirebbe a loro persino questa malefica facoltà, retaggio di un medioevo da cui fatichiamo a uscire. Sono state pure le recenti trasformazioni interne ai meccanismi di funzionamento della ’ndrangheta, perlomeno quelle avvenute negli ultimi tre decenni, ad appioppare ai rom l’ennesimo stigma, quello della mafiosità. Le scelte criminogene di pochissimi zingari sedentarizzati, prima arruolati dalle ‘ndrine come manovalanza e poi battezzati dalle medesime per meriti conquistati sui campi di battaglia delle faide, sono bastate a scaricare su migliaia di famiglie rom oneste il fardello dell’ennesima presunta colpa, quella di essere tutti dei criminali organizzati. Il problema dunque non è il male, ma la percezione che ne abbiamo. Un sistema fondato sull’ansia e la paura, il sistema in cui viviamo, non poteva non innescare inediti pregiudizi che sommandosi a quelli del passato remoto e recente, confinano i senza-patria in un inferno simbolico. Gran parte di questa tragedia la scrive l’ignoranza diffusa, che in barba ai social media e alle loro potenzialità, dilaga irrefrenabile. Poche settimane fa è piombata nelle cronache la vicenda di una signora italiana che per curare un figlio autistico lo ha portato dall’esorcista. Costui, nel tentativo di liberarlo dal demonio, lo schiaffeggiava in maniera continuata e violenta. Un ragazzino autistico schiaffeggiato a scopo curativo, nel 2015! Resasi conto dell’inadeguatezza di tale “approccio terapeutico”, la donna non ha consultato subito uno specialista. Ha deciso di condurre il proprio figliolo da un altro esorcista. Ed è stato quest’ultimo, per fortuna, a consigliarle di rivolgersi a un neuropsichiatra. Somigliano a questa vicenda le storie narrate da Francesco Caravetta nel presente volume, ambientate in un passato prossimo immanente in tutta la sua ombrosità. Protagonisti, ma soprattutto vittime benché non lo siano a prima vista, sono i rom, anzi le donne rom. Si tratta di storie vere, ripescate dagli atti giudiziari ufficiali. In virtù della pazienza e della professionalità che solo un ricercatore certosino come Caravetta poteva impiegare, i racconti testimoniano le origini culturali del pregiudizio moderno nei confronti di queste persone, responsabili di piccoli reati che sono bastati a condannare in eterno un’intera popolazione dagli occhi orientali e dalla pelle scura. Sono storie che confermano quanto fosse complesso il rapporto tra raggirati e raggiratori. Sia oggi che all’epoca dei fatti ricostruiti in questo libro, molti rom si arrangiavano, sopravvivevano come potevano. Ci si rivolgeva a loro per la risoluzione di una gamma vastissima di problemi. Si attribuiva alla zingara virtù taumaturgiche. E siccome, a prescindere dalle origini etniche, allora come adesso chiunque venga investito di cotanta potenza non avrebbe motivo di non sfruttare tali presunti prodigiosi poteri a proprio vantaggio, in quelle vicende prendeva forma una relazione di reciproca subordinazione da cui era difficile sfuggire. Da quel perverso gioco di ruolo non potevano sottrarsi né le vittime né i carnefici. Da sottolineare che in quasi tutti gli episodi riportati nelle sentenze, è sempre la vittima a offrirsi spontaneamente alle donne rom. Emergono dei tratti ricorrenti in ogni storia, veri e propri modelli narrativi, a voler segnalare la struttura di un canovaccio che ogni volta si riconferma. C’è sempre un involucro magico che catalizza le disgrazie e trasfigurandosi diventa corpo del reato, prova tangibile del fatto che un “crimine” è avvenuto sul serio, pur apparendo inverosimile. Gli uomini sono pressoché assenti, agiscono sempre figure femminili. Non si verificano quasi mai gravi fatti di sangue. I fessacchiotti che si intrappolano nei tranelli delle raggiratrici, manifestano vuoti della personalità ben più gravi della semplice ignoranza. Spontaneo diviene per il lettore eretico immedesimarsi, fare il tifo per le truffatrici, restare incredulo di fronte alla barcollante veridicità dei report giudiziari, a volere ribadire, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, che sotto sotto qualsiasi essere umano che ami la vita e la libertà, dentro di sé coltiva il sogno laico di vivere almeno per una volta nei panni di un rom.
Claudio Dionesalvi
sinossi tratta da bottegascriptamanent, anno X, n. 102, febbraio 2016

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