Insegnante: un’antica professione che si trasforma

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La professione dell’insegnante è molto antica. E con il tempo ha subito tante trasformazioni. Oggi, infatti, nelle scuole lavorano molti professori “alternativi”, d’indiscutibile preparazione, molto vicini ai ragazzi e soprattutto pazienti verso le loro esigenze. Uno di questi è Claudio Dionesalvi, professore dotato di un’inestimabile capacità di insegnare e di comprendere i ragazzi. Gli ho fatto un’intervista per farmi raccontare qualche curiosità sul suo lavoro.
Allora professor Dionesalvi, mi potrebbe spiegare in cosa consiste il suo lavoro?
“Più che di un solo lavoro, bisognerebbe parlare di tante attività. Oggi noi insegnanti siamo impiegati, operai, assistenti sociali, comunicatori, burocrati, segretari, autisti… e purtroppo, nella maggior parte dei casi, ci tocca fare anche i carcerieri. Quest’ultimo ruolo io proprio non riesco ad interpretarlo. Anzi, ad essere sincero, non ho alcuna intenzione di farlo. E non concepisco la scuola come semplice trasferimento di informazioni dal mio sapere agli alunni. Al contrario, ogni giorno che passa mi sforzo di imparare cose nuove da voi ragazzi”.
È soddisfatto dell’attività che svolge?
“Sì, ma soltanto del rapporto umano che ho con voi. E non è legittimo affermare che la nostra sia una “professione”. Saremmo gli unici professionisti il cui livello di reddito non dipende dalla quantità dell’utenza. A dire il vero, prima di entrare nel mondo della scuola, pensavo che i ragazzi della vostra fascia d’età fossero tendenzialmente “scemi” e piatti. Invece, mi sono dovuto ricredere, perché ogni giorno che passa m’accorgo che possedete un forte senso critico ed una ineguagliabile carica di umanità. Non sono contento, invece, del fatto che con l’autonomia scolastica si dia troppo potere agli organi dirigenti e troppo poco agli organi collegiali. C’è un affollamento inutile di formule, procedure e riunioni che non producono nulla. Tutto ciò finisce per incidere negativamente sulla didattica, che scade in qualità. La scuola dei progetti, la scuola di Berlinguer e della Moratti, rappresenta la “morte” dell’istruzione. Non è giusto, per esempio, che l’assegnazione degli incarichi sui progetti sia affidata a singoli insegnanti e non alla totalità del corpo docente, perché ciò determina meccanismi di lottizzazione e clientela che innescano gelosie e conflitti. Inoltre, è assurdo che solo alcuni istituti scolastici possano accedere a determinate linee di finanziamento, mentre altri, essendo amministrati da presidi che non hanno sufficiente potere contrattuale verso gli enti locali ed il C.s.a., siano discriminati ed esclusi. In tutte le scuole si dovrebbero insegnare: drammaturgia, arti visive, educazione sessuale, fotografia ed artigianato, e non solo in quelle che riescono ad agguantare i fondi necessari per la realizzazione del progetto. Per un motivo semplicissimo: tutti paghiamo le tasse. Non capisco, quindi, perché poi diritti fondamentali come l’istruzione pubblica debbano essere garantiti in forma diseguale”.
Il suo lavoro richiede molto impegno?
“Più che impegno, richiede pazienza, e non tanto con voi ragazzi, quanto con gli adulti. Non credo che con gli alunni sia necessario essere “pazienti”. Dovremmo ringraziarvi per l’energia che ci trasmette, magari provando a canalizzarla verso attività creative. Stare in mezzo a persone che vogliono giocare e scherzare è una vera e propria fortuna, un privilegio, ma quando si entra nelle classi con accidia o con la mente ingolfata di regole e carte da compilare, si perde di vista l’obiettivo: noi dobbiamo formare individui, soggetti critici, donne ed uomini capaci di gestire il proprio tempo e lo spazio. Non siamo costruttori di robot né tantomeno addestratori di soldatini. Quelli crescono in fabbrica o in caserma. Io chiuderei entrambe”.
Nicoletta Faillace
Scuola Flash, aprile 2003

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