La scomparsa di un amico

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Appena ho appreso la notizia della sua scomparsa, mi ha assalito un cupo senso di smarrimento e la reazione è stata quella tipica delle circostanze più drammatiche. Si sono accavallati sul buio del mio inconscio ricordi, frasi e momenti di vita. Al termine di questa carrellata che di solito non riempie mai un istante, ma emerge ciclicamente nel corso del tempo, è affiorato l’istinto di tradurre l’immagine in parola e dedicare una pagina al professore Armando Manna, alla sua storia, al suo percorso.
Ma mille sono le difficoltà e le contraddizioni: come eludere la vuota retorica? Come scongiurare il rischio di sminuire una persona così profonda? Come aggiungere altre parole a quelle già pronunciate sulla sua scomparsa, quando proprio di lui mi aveva colpito il sano e rispettoso silenzio «libero da meschine frasi di circostanza» che aveva osservato dopo la morte di mio padre? Trattando la negazione della sensibilità Diderot disse: “È forse nel momento in cui avete perso un caro amico e o la vostra amante che scrivete qualcosa sulla sua morte? (…) È soltanto quando il maggior dolore è passato, quando l’estrema sensibilità si è attenuata, quando siamo lontani dalla catastrofe, quando l’animo è calmo, quando ricordando la felicità perduta siamo capaci di apprezzare la perdita subita, quando la memoria si unisce all’immaginazione, l’una per ricomporre, l’altra per esagerare la dolcezza del tempo passato, quando ci domiamo e possiamo esprimerci bene…”. Mi sono riservato dunque di scrivere a mente fredda questo estremo messaggio aspettando che il dolore cedesse il posto alla lucida memoria. Ed eccomi a ricordare l’Armando Manna professore, che avrebbe meritato cattedre più “alte” e meno tediose di quelle scolastiche; lui però era felice del rapporto che spesso si instaura tra i banchi di scuola e lo preferiva al distacco gelido che regna nelle aule universitarie. Nel momento stesso in cui entrava in classe aveva inizio la sua lezione, il ritmo della sua voce non appariva mai uniforme ed era caratterizzato da vertiginosi alti e bassi che sottolineavano la diversa importanza delle proposizioni di un argomento. Aveva la capacità di balzare da una parte all’altra dell’aula pur di non lasciar disperdere l’attenzione degli astanti, ed era veramente arduo distrarsi per via del continuo chiamare direttamente in causa le persone. Gli esempi che usava nelle lezioni di fisica, erano il frutto di autentiche tecniche di immedesimazione. Impossibile riuscire a sfuggire al suo magnetismo, riusciva ad animare una delle materie più aride dell’insegnamento scolastico.
Una volta nel laboratorio del liceo scientifico “Scorza”, che solo grazie a lui abbiamo conosciuto, ci spiegò il fenomeno della “fata morgana”: la rifrazione di oggetti lontani nell’acqua marina. Mi chiedevo a quale esempio sarebbe ricorso per spiegarci un simile “miraggio” e il mio scetticismo fu subito sconfitto quando il professore Manna chiese se ci fosse mai capitato di vedere al largo del mare di Paola un’isola: “… Sapete, quello è lo Stromboli che è situato esattamente in quella direzione ma molti chilometri più lontano di dove voi lo vedete”. Mi è rimasta scolpita nella mente, come indelebile è quel suo intercalare tipico : “non vi nascondo…”, testimoniante la sua limpida sincerità. Un’umanità che non può essere catturata da un foglio di carta o da una targa recante il suo nome. Rimane patrimonio cerebrale dei tanti che lo hanno conosciuto e stimato e dei suoi cari ai quali è impossibile dimenticarlo. L’immenso lavoro da lui svolto tra le mura scolastiche meriterebbe sicuramente di più. Ma forse la gente è troppo occupata ad inserire e schedare “nuovi numeri nei registri”, troppo intenta ad immagazzinare nuove conoscenze senza preoccuparsi di tesaurizzare quelle perse.
Un’altra volta mi mostrò, fiero come un ragazzino, un testo di matematica scritto da un ex allievo divenuto anch’egli professore; il teorema introduttivo era intitolato “teorema di Armando Manna”, un segno di gratitudine al quale idealmente mi unisco.
Professore Manna, da quando lei ci ha lasciato, vedo con altri occhi l’effetto “Fata Morgana”!
Claudio Dionesalvi
Tribuna Sud Italia, novembre 1992

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