I Rom chiedono aiuto contro i raid

Almeno sette aggressioni a colpi di mazze da baseball ai danni di rom giovani e adulti, pestati a caso, tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre. Poi un paio di blitz notturni, con tanto di pistole brandite fuori dai finestrini, puntate contro baracche abitate anche da donne e bambini. Così vivono nel terrore i circa settecento abitanti del campo nomadi di Vaglio Lise, alle spalle di via Popilia, storico quartiere popolare di Cosenza. Di giorno escono poco dal villaggio. E di notte, a turno, vegliano tra i bassi tetti in eternit e lamiera, per evitare d’essere colti di sorpresa. Chissà cosa ne pensa Veronica Gigliotti, delegata dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che nel 2012 il governo ha incaricato di curare in Calabria la strategia nazionale per l’inclusione dei rom. Se l’attuazione del programma d’integrazione non accelera, rischia di perdere i diretti interessati. Che poche ore fa hanno pubblicato una lettera aperta.
“Ogni  volta che usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa – si legge nella nota –  veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono di volersi vendicare per aver subito dei furti”. Alle istituzioni i rom chiedono “sicurezza”. Chiaro il loro appello al resto della cittadinanza: “ai parenti ed agli amici di questi giovani che fanno le ronde, chiediamo di parlare con loro, spiegare che l’uso della violenza è sempre sbagliato, e che attaccare persone innocenti solo in base alle loro origini etniche, è un crimine contro l’umanità”.
A Cosenza, i raid “contro gli zingari” sono una novità assoluta. Prima dei pestaggi, contro di loro c’erano state solo raccolte di firme e appassionati sermoni degli esponenti di entrambi gli schieramenti partitici che chiedevano alle autorità di mandarli via senza troppe cerimonie.
Dopo il trasferimento dell’antica comunità di origini gitane dal vecchio e pluridecennale villaggio nelle nuove case del quartiere San Vito, fatte costruire alla fine degli anni novanta dal sindaco Giacomo Mancini, il nuovo campo rom della città è sorto abusivamente a ridosso del fiume, intorno alla metà del decennio scorso, ospitando decine di famiglie provenienti dalla Romania appena entrata nell’UE. La giunta di centrosinistra, guidata dal democristiano Perugini, di fatto ignorò il problema, forse auspicando un intervento duro e liberatorio della Procura, che infatti non si fece attendere. Si susseguirono diversi blitz di polizia e carabinieri per schedare i rom in massa. Quindi, nel 2009, l’ordinanza di sgombero coatto. Eppure l’azione di forza fu scongiurata. La mobilitazione delle realtà sociali, e un paio di ricorsi presentati da un collegio difensivo ad hoc, bloccarono ruspe e camionette blu.
Da allora, il campo rom è sparito dalle coscienze di tanti, ma non di tutti. Le associazioni come la ONG “Mo.C.I.”, hanno continuato ad accompagnare la frequenza scolastica dei bambini. “Sentiero Nonviolento” ne ha seguito le vaccinazioni. Nella “Scuola del Vento”, una baracca adibita a luogo sociale, diversi operatori volontari hanno dato vita a cineforum e laboratori creativi. Due anni fa, il neoeletto sindaco Mario Occhiuto ha disposto l’erogazione dell’acqua corrente nel campo, e partorito un progetto di ecovillaggio per dare una sistemazione provvisoria, ma dignitosa, alle decine di famiglie accampate sulla sponda sinistra del fiume Crati. In principio la proposta ha trovato timidi consensi. Però in breve sono emersi tutti i limiti di un’idea, quella dei campi nomadi attrezzati, ormai superata. Il progetto attende di essere approvato in sede regionale. Un primo “stop” è arrivato dalla Regione Calabria: il sito individuato dal Comune per il nuovo villaggio, è privo dei requisiti di sicurezza, perché a rischio esondazione.
Intanto la baraccopoli continua a crescere tra indifferenza, minacce e tragedie sfiorate. L’anno scorso, in seguito ad uno dei ricorrenti incendi accidentali, numerosi nuclei familiari sono rimasti senza tetto. Hanno trovato alloggio nel palazzetto dello sport di Casali da cui non sono usciti più. Pochi mesi fa, sulla scia del lavoro svolto a Roma dall’associazione 21 luglio, all’esito di una lunga consultazione all’interno del campo, le associazioni cosentine hanno provato ad imporre agli enti competenti una “road map”: l’Agenda rom. Così è stata presentata una lista di scadenze da rispettare, e azioni concrete da compiere. Anzitutto, la costituzione di un tavolo tecnico che, con la partecipazione dei rom, stabilisca le modalità di chiusura graduale della baraccopoli, attraverso diverse soluzioni abitative che tengano conto delle caratteristiche dei singoli nuclei familiari. Nell’immediato, l’Agenda prevede la normalizzazione del servizio scuolabus, maggiore igiene all’interno del campo, riconoscimento della residenza, riattivazione delle vaccinazioni per i bambini, un regolamento per la raccolta ambulante dei materiali ferrosi, un evento annuale dedicato al Porrajmos: lo sterminio dei nomadi avvenuto nei lager nazisti. Resteranno solo parole?
Claudio Dionesalvi – (Cosenza)
il manifesto, 12 settembre 2013

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *