Il manicomio di Girifalco. Come impazzire di guerra

Storditi dalle bombe, feriti nella mente, terrorizzati dalla vita in trincea, scioccati per la morte spaventosa dei commilitoni. Molti dei soldati che impazzirono al fronte durante la prima guerra mondiale, furono ricoverati nel manicomio di Girifalco, in provincia di Catanzaro. Le loro traversie, quelle de I demoni del mezzogiorno, sono narrate in un libro pubblicato da Rubbettino (pp. 256, euro 18) e scritto da Oscar Greco, docente universitario di storia contemporanea, che già in altri suoi studi ha ricostruito importanti vicende politiche e sociali. Sue sono le più dettagliate ricerche sugli anarchici calabresi emigrati oltreoceano, sull’epistolario del ministro comunista Fausto Gullo, sugli effetti nefasti dell’industrializzazione nel Mezzogiorno.
Più che una lineare monografia, sono almeno tre i percorsi di ricerca che s’intrecciano. A fonderli è il tema della sofferenza. Nel suo progressivo allargarsi, lo zoom disvela i tratti della vita quotidiana all’interno dell’istituzione totale di Girifalco, l’impatto della guerra sull’Italia del primo novecento, la condizione di chi all’epoca soffriva di disagio psichico.
ESPLORANDO l’arco cronologico dal 1881 al 1921, in questo lavoro introdotto dalla prefazione di Mary Gibson, Greco si concentra sul rapporto tra guerra, follia, pregiudizio e marginalità. La struttura manicomiale calabrese, indagata dalle viscere dei suoi archivi, diviene così periscopio, osservatorio elettivo sulla storia della psichiatria in Italia e le prassi terapeutiche adottate in base ai differenti approcci scientifici. Preziosi i paragrafi dedicati all’influenza della dottrina lombrosiana, matrice dell’atavismo nell’anamnesi delle patologie mentali. Interessante anche la ricognizione sulla teoria del «costituzionalismo degenerativo dei calabresi», inquadrato nel mito negativo della «razza delinquente». L’immane tragedia del primo conflitto mondiale fiaccò definitivamente la società meridionale, già gravemente provata dalle politiche repressive adottate dallo Stato sabaudo nei decenni post-unitari. La guerra del ‘15-’18 ne sterilizzò le relazioni sociali e i legami umani.
SOTTRAENDO migliaia di ragazzi alle proprie famiglie, oltre che degli affetti, le privò di preziose braccia che avrebbero potuto provvedere al loro sostentamento. «L’espansione del sistema manicomiale nel nostro Paese – scrive Greco – ha avuto una singolare caratteristica rispetto al panorama europeo; si è attuata solo dopo l’Unità e ha coinciso con la formazione della Nazione. Come dire che nel momento stesso in cui l’Italia costruiva le sue città, il suo sistema giuridico, gli enti e le sue istituzioni, ha anche costruito i luoghi ove confinare i soggetti non presentabili e non in grado di contribuire alla costruzione della nuova società: i folli, i derelitti, i vagabondi, gli oziosi, in una parola le «classi pericolose» per l’ordine borghese».
TRA I SUPERSTITI dei combattimenti, durante e dopo il quadriennio in trincea, tantissimi tornarono affetti da nevrosi di guerra. È significativo che tale patologia in taluni casi colpì anche persone distanti dalle zone del conflitto, familiari di giovani impegnati nella Grande guerra. In virtù di un attento studio delle cartelle cliniche, Greco riserva pagine autonome alla condizione delle donne internate: «Nel manicomio di Girifalco finivano, al pari delle vere malate, quelle che si discostavano dall’ideale di madre e sposa esemplare e che con le loro condotte e le loro esuberanze non conformavano il proprio stile di vita agli stereotipi culturali dominanti».
Sia in merito alla questione di genere sia nell’analisi del disperato tentativo di sfuggire al mattatoio bellico, che alcuni soldati attuarono fingendosi malati, riaffiora la riflessione sulla perpetua difficoltà di individuare un confine tra normalità presunta e patologia mentale. Il libro offre una carrellata di foto che ritraggono le attività giornaliere all’interno del manicomio di Girifalco, la sua natura di Panopticon. Fuori da qualsiasi tentazione di sprofondare nella retorica antimilitarista, con scientifica freddezza il messaggio rimane quello di sempre: uccidendo milioni di persone, la guerra produce fantasmi non solo nel mondo esterno, ma anche e soprattutto nella psiche umana.
Claudio Dionesalvi

il manifesto, 19 aprile 2018

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