Emigrati non solo. Anche ribelli

Non avevano solo le pezze al sedere. Non subivano passivamente il razzismo delle popolazioni che avrebbero dovuto accoglierli. Erano meridionali emigrati, sì, ma visceralmente ribelli.
“Calabresi sovversivi nel mondo” è il titolo di un volume edito da Rubbettino, scritto a più mani. A firmarlo, Amelia Paparazzo, Katia Massara, Marcella Bencivenni, Oscar Greco ed Emilia Bruno, quasi tutti operanti presso il Dipartimento di Storia dell’università della Calabria. Sottotitolo: “L’esodo, l’impegno politico, le lotte degli emigrati in terra straniera dal 1880 al 1940”.
Sono profili umani e politici cancellati dal mito lacrimevole del calabrese migrante bistrattato ed offeso, che pure trova ampia documentazione sulle cronache dei Paesi ospitanti. D’altronde, nel ricostruire le imprese dei rivoluzionari nostrani tra ‘800 e ‘900, la storiografia locale ha sempre inseguito i cognomi illustri, come se la storia della sovversione calabra fosse da ricondurre a quelle tre o quattro famiglie che poi nei fatti hanno incarnato anche la gestione autoritaria del potere politico locale.
Ma la verità fu un’altra. Si evince chiaramente da questo lavoro recentemente pubblicato. Chi ricorda, per esempio, il cosentino liberale e antifascista Antonio Armando Zanetti? Pur avendo inizialmente aderito al movimento nazionalista, fu uno dei primi a smascherare l’orrido volto del fascismo. Visse esule anni di privazioni, annaspando “nella miseria più nera”, praticando con gli scritti ed il pensiero l’antifascismo. Poté rientrare solo dopo la fine del regime. Le ricerche effettuate nel casellario politico centrale riportano in superficie la sua vicenda, ma anche quella di tanti anarchici, schedati in blocco insieme alle famiglie di appartenenza. Oscar Greco ripropone i casi dei Focarazzo di Rossano e i Pentimalli della provincia di Reggio Calabria, emigrati in Sud America ai primi del novecento, molto attivi all’interno delle organizzazioni sindacali anarchiche argentine.
Propaganda sovversiva, sabotaggio della catena di montaggio, scioperi e manifestazioni furono il pane quotidiano dei tanti che lasciarono le terre d’origine senza abbandonare le proprie idee. Non mancarono, tra i calabresi d’oltreoceano, i bombaroli, come quel Francesco Barbieri (Chico) nato a San Costantino di Briatico nel 1895, emigrato anch’egli in Argentina, coautore del sanguinoso attentato avvenuto il tre maggio ’28 ai danni del Consolato d’Italia. Partecipò anche alla guerra civile spagnola. Catturato insieme a due suoi compagni, fu fucilato a Barcellona nel ’37 dai comunisti.
Grazie al lavoro di questi attenti storici, dunque, rivive la vicenda di Barbieri e riemergono le gesta di quanti, come lui, contribuirono a fomentare i diversi “autunni caldi” esplosi da una parte all’altra del globo. In attesa che a qualcuno venga in mente di dedicare loro una piazza, una scuola, un romanzo.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 10 febbraio 2005

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