I deliri, le pianure, il conflitto sociale e le foschie del ’98

Cosa è cambiato a Cosenza nel 1998? Secondo il Sole 24ore, la città è peggiorata. Nella graduatoria sulla qualità della vita, ha perso punti e posizioni. Rispetto al ’97, si sarebbero verificati una netta diminuzione del numero delle imprese (e dei posti di lavoro) e un calo spaventoso dei servizi (solo 4,3 posti letto ospedalieri, ogni 1000 abitanti). Tutti fenomeni verosimili, considerando anche le recenti denunce dei sindacati, che parlano di «penetrazione mafiosa nella realizzazione delle opere pubbliche e nell’ammodernamento dell’autostrada». Ma il presunto scivolone in classifica, sul fronte dei divertimenti e della vita associativa, sembra poco attendibile. E non tanto perché nel territorio cosentino giace l’elefantiaca università Arcavacata. Chi “cammina sotto il cielo di notte”, sa che nell’ateneo l’unica fonte di cultura e socialità è il Filo Rosso: uno spazio occupato dagli studenti e, in quanto tale, autonomo dalle gerarchie “ecclesiastiche” della promozione culturale accademica.
Dunque, non è la presenza del “campus” a rendere poco credibile il dato fornito dal Sole 24ore. In realtà, se proprio si vuole ragionare sui fatti, a Cosenza esistono: un teatro di tradizione (il Rendano) e uno di ricerca (Acquario), tre punti di riferimento costanti per gli immigrati, un cinema d’Essai, una cascata di band giovanili che fanno rock, una Casa delle Culture che sta per essere clonata dalla Venezia illuminata di Cacciari, una vasta area di volontariato, ludoteche e cooperative nei quartieri, comitati spontanei di cittadini, pittori e poeti, festival estivi e una miriade di associazioni (come la Jonica) che organizzano eventi musicali di livello europeo. Il Sole 24ore ha preso un abbaglio. Ha effettuato la sua ricerca basandosi sui biglietti staccati dalla Siae, in una città in cui gli spettacoli vengono organizzati, spesso, gratuitamente, o a sottoscrizione volontaria.
Ma se la terra dei Bruzi rimane all’avanguardia nell’assimilare e riflettere i flussi culturali contemporanei, persistono disastrose situazioni di disagio, degrado e povertà. Via Popilia, Serra Spiga, contrada Molara, Gergeri e il centro storico sono i simboli di un contesto sociale che, per certi versi, somiglia a quello del secondo dopoguerra. Tanti gli interventi urbanistici, ma scarsa la capacità effettiva di garantire una copertura di servizi sociali alle trasformazioni avviate. A Cosenza Vecchia, per esempio, lo sgombero delle famiglie che vivono in edifici inagibili, sta finendo per allontanare dal quartiere gli strati più deboli. I palazzi antichi vengono acquistati da abili speculatori.
Un altro capitolo nero è quello delle case popolari. Prima o poi, l’Aterp dovrà decidersi a sbloccare i circa settecento miliardi di “residui attivi”, che poltriscono nelle casse delle banche. Altrimenti, se le istituzioni non riescono ad utilizzare le risorse disponibili, il tragico lamento sul problema della disoccupazione, somiglia al pianto del coccodrillo. Ne sanno qualcosa a San Giovanni in Fiore, Acri e Longobucco, dove le popolazioni hanno fatto vibrare la loro giusta protesta. Così come rimane aperta la questione dei rom. Appena terminato il ponte di Gergeri, le prime baracche saranno abbattute, in anticipo sulla realizzazione dei nuovi villaggi, di cui non si conoscono ancora le modalità di integrazione nei quartieri. Infine, un’occhiata ai dati Istat. Il numero dei residenti in città è sceso a 75832. Nel 1981 erano 106801; nel 1991: 88664. Questo sì, è un crollo verticale.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 31 dicembre 1998

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