E l’Aids attacca la gente “perbene”

È finita l’era delle “categorie a rischio”. L’Aids non è più un problema che riguarda solo tossicodipendenti, prostitute ed omosessuali. Il virus Hiv dilaga in tutte le fasce sociali, approfittando della disinformazione. In città il fenomeno si allarga e coinvolge persone che svolgono una vita “convenzionale”. Ad essere colpita è soprattutto la gente “normale” che sottovaluta i rischi della scarsa prevenzione. È questo il primo dato che emerge da un’inchiesta sul campo. I numeri e le percentuali si accavallano, rendendo fumosa l’analisi realistica del fenomeno. In compenso, sono illuminanti le dichiarazioni dei diretti interessati. Medici, operatori sociali e malati accettano volentieri di confrontarsi con il mondo dell’informazione, nella speranza di svegliare le coscienze di chi crede di essere immune dal contagio.
Prima di tutto, i numeri. Le fonti sono ufficiali, ma diventano virtuali di fronte agli ostacoli creati dai pregiudizi. Per troppo tempo la malattia è stata affrontata con metodi da santa Inquisizione. Ufficiali sono i dati forniti dai Servizi per le Tossicodipendenze, che parlano di 23 persone affette da Hiv, assistite dalle strutture sanitarie della provincia di Cosenza. A questo numero bisogna aggiungere i circa sessanta nuovi sieropositivi, rilevati da un monitoraggio effettuato dalla Regione Calabria. «La denuncia dei casi di Aids conclamato è obbligatoria dal 1985 – spiega il dottor Rubens Curia, responsabile dell’osservatorio istituito dall’assessorato regionale alla Sanità -. Da quella data al 31 marzo scorso abbiamo registrato a Cosenza 77 casi cumulativi (sommando le segnalazioni di tutti gli anni -Ndr). Bisogna considerare che la Calabria presenta un tasso di incidenza pari ad 1,2 malati ogni 100mila abitanti. Un dato confortante perché siamo al penultimo posto nella graduatoria nazionale. Tuttavia, in provincia di Cosenza è deceduto il 60% dei malati. La città presenta il 17% di casi sul totale regionale, contro il 28,3% della sola Catanzaro. Abbiamo effettuato uno studio generale sul numero dei sieropositivi, garantendo la privacy. Da un certo punto di vista, possiamo ritenerci soddisfatti, perché nel ’97 abbiamo avuto un aumento di soli 30 casi, contro i 51 del ’96. Ma bisogna stare attenti a non abbassare la guardia, perché il 17,3% delle persone colpite dal virus, sono eterosessuali».
Il quadro descritto dalla Regione trova conferme nelle voci anonime degli operatori sanitari dell’ospedale civile dell’Annunziata. « È meglio restare nell’ombra ed essere cauti – dice un medico del reparto malattie infettive – perché si rischia di creare allarmismi. Posso confermare che stiamo seguendo una sessantina di nuovi sieropositivi. È praticamente impossibile quantificare il reale numero delle persone che hanno contratto il virus Hiv, perché molti malati preferiscono emigrare. Di certo, ogni giorno si presentano nelle nostre corsie soggetti che conducono una vita senza sregolatezze. E quindi anche padri di famiglia o normali professionisti. Il guaio è che la gente sottovaluta il problema. Sono sempre più frequenti i casi di persone che fanno la classica “scappatella”, poi tornano a casa e infettano il partner. Può sembrare paradossale, ma sarebbe il caso di usare il profilattico anche nel letto matrimoniale».
Sulla stessa linea è Nanni Nardelli del ProPos di Cosenza, una struttura che si occupa dei problemi di sieropositivi e malati d’Aids. «Le nuove terapie – afferma Nanni – hanno generato un senso di ottimismo sproporzionato. Il cittadino comune è portato a pensare che il virus Hiv sia un problema risolto. E questo è un grosso guaio. Ancora sette persone su dieci non usano alcuna forma di precauzione nei rapporti occasionali o nelle situazioni di rischio». A proposito di nuove terapie ed inibitori di proteasi, Nanni precisa: «Hanno prodotto ottimi risultati, ma la sperimentazione riguarda un arco di tempo che non supera i tre anni. Questo genera due categorie di problemi. Anzitutto, l’analisi sull’evoluzione della malattia può risultare errata, cioè le macchine rilevano una “viremia negativa” e invece il virus è ancora presente nel sangue. Inoltre, in così poco tempo non è possibile stabilire se il cocktail di farmaci provoca effetti collaterali e danni all’organismo». Nanni allarga e restringe il discorso con la consapevolezza di chi opera dal basso: «La tragedia – dice – consiste nel fatto che sia le istituzioni locali sia quelle europee stanno tagliando i fondi. La L.i.l.a. Calabria è stata costretta a chiudere la linea telefonica messa a disposizione dei malati, perché non arrivavano più finanziamenti. Anche il nostro progetto rischia di arenarsi». Il ProPos aveva infatti chiesto all’amministrazione comunale un sostegno, ma almeno per il momento ha ricevuto una risposta negativa.
E nelle piazze cittadine, teatro della vita concreta, al riparo da mistificazioni, si raccolgono le voci più interessanti. «Il Comune – dice Giovanni, 35 anni sieropositivo – ha aperto lo sportello di informazione sessuale, ma non svolge alcuna attività. La verità è che non esiste un equilibrio. Da una parte la caccia alle streghe, dall’altra l’indifferenza più nera».
 Claudio Dionesalvi
Il Domani, 4 luglio 1998

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