I forzati (nascosti) dell’agricoltura

Si intitola “I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa di nascosto”. È il rapporto di Medici Senza Frontiere sulle condizioni di vita e di salute dei lavoratori stranieri impiegati nei campi del Sud Italia. I risultati completi del lavoro saranno presentati martedì 24 maggio, alle ore 15,30, nell’aula magna dell’università di Arcavacata.
Il paragrafo relativo alla Calabria è stato redatto sulla base di un’indagine svolta nella piana di Gioia Tauro. Dipinge una realtà raccapricciante.
Nel novembre scorso, due operatori di Msf hanno monitorato la zona. A Rosarno sono state effettuate 130 interviste e altrettante visite mediche. Il rapporto afferma che “il dato più interessante emerso dalla visita in Calabria è sicuramente la presenza di donne impiegate in agricoltura come lavoratrici stagionali”. Quello calabrese “è l’unico contesto in cui sono stati visitati un numero significativo di cittadini dell’Europa orientale. Nello specifico le persone provenienti dall’Europa dell’est sono tante quante i cittadini africani. Il Paese più rappresentato è, infatti, la Bulgaria, con circa il 30 per cento sul totale dei pazienti visitati, seguita da Liberia, Ghana, Mali e Sierra Leone”.
La posizione giuridica di questi lavoratori è definita “irregolare”, in quanto l’80 per cento è privo del permesso di soggiorno. La loro condizione di vita è apparsa “preoccupante”. Msf denuncia le “drammatiche condizioni abitative, il mancato accesso alle cure, la situazione lavorativa e la difficile condizione femminile”. L’emergenza riguarda soprattutto la situazione abitativa. Nonostante la raccolta degli agrumi coincida con i mesi invernali, “il 60 per cento delle persone intervistate vive in una casa abbandonata, il 40 in uno spazio affittato. Nella regione non ci sono alternative al problema dell’alloggio per gli stranieri che si recano nell’area: non è stata riscontrata la presenza di alcuna tendopoli montata ad hoc per gli stagionali, né di organizzazioni in grado di accogliere persone senza fissa dimora”.
Nel rapporto, non mancano descrizioni di casi specifici: “Sotto un ponte, una sorta di stanza-magazzino fatiscente era stato affittato da un proprietario ad alcuni cittadini africani. Gli inquilini erano tutti richiedenti asilo provenienti dall’Uganda e dalla Repubblica Democratica del Congo. Gli stranieri hanno affermato di pagare 200 euro mensili per dormire in una struttura più simile a una caverna che a una casa. L’abitazione si trovava di fronte a un piccolo fiume privo di argini e nel mezzo di un aranceto. Il datore di lavoro aveva così fornito un alloggio per i suoi lavoratori che comodamente si potevano recare dal giaciglio al campo di lavoro. Situazioni simili sono state monitorate in diverse zone di campagna nell’area circostante la città di Rosarno”.
Eloquenti le cifre: “Il 55 per cento delle persone intervistate non ha acqua corrente nel luogo in cui vive, il 54 per cento non ha luce, quasi il 60 per cento non ha servizi igienici e il 91 non ha riscaldamento”. I compensi sono da sopravvivenza: “Il 97 per cento degli intervistati ha affermato di guadagnare una cifra pari o inferiore a 25 euro giornalieri”. Quindici centesimi per ogni chilo di arance sbucciate, è il compenso delle lavoratrici, “per un guadagno medio giornaliero che si aggira intorno ai 15 euro. Queste lavoratrici arrivano dunque a sbucciare 100 kg di arance lavorando in piedi per ore a mani nude”.
Nella relazione c’è tutta la tragedia umana e sociale della condizione femminile. Numerosi sono i casi di molestie sessuali e stupri ai danni delle lavoratrici straniere. Sorte migliore non tocca ai loro figli. I bambini si presentano “sporchi, malati, nudi e senza nessuna vaccinazione”.
Non mancano, infine, gli attentati e le minacce contro le organizzazioni solidali con i migranti. Una delle conclusioni del rapporto richiama alla memoria epoche lontane: “Si percepisce un “muro” fra gli italiani e questi stranieri invisibili”.
Claudio Dionesalvi
Il Quotidiano, 22 maggio 2005

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